Le differenze tra stage, apprendistato e praticantato

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27 Ottobre 2025 - 17:27

Possono sembrare simili, ma tirocinio, apprendistato e praticantato sono molto differenti tra loro, per durata, diritti e doveri. Ecco differenza e disciplina.

Le differenze tra stage, apprendistato e praticantato

A prima vista possono sembrare sinonimi, ma tirocinio, apprendistato e praticantato rappresentano tre esperienze completamente diverse, che condividono solo una cosa: sono spesso il primo passo nel mondo del lavoro. Capire le differenze è fondamentale per non rischiare di confondere un’esperienza formativa con un vero e proprio rapporto di lavoro. Oggi, con le ultime modifiche normative introdotte dal Decreto Lavoro 2023 e dagli aggiornamenti regionali sui tirocini, il confine tra formazione e occupazione è sempre più chiaro, ma anche più complesso.

Il tirocinio è, per definizione, un percorso formativo, pensato per acquisire competenze pratiche e orientarsi nel mondo professionale. L’apprendistato, invece, è un contratto di lavoro vero e proprio, che combina formazione e occupazione. Il praticantato resta infine un’esperienza obbligatoria per accedere a determinate professioni ordinistiche, come avvocato, commercialista o giornalista.

Il tirocinio: formazione e orientamento

Il tirocinio, conosciuto anche come stage, è uno strumento di orientamento e formazione, regolato a livello regionale e coordinato dalle linee guida nazionali aggiornate nel 2022 e tuttora valide nel 2025.

Non costituisce in alcun modo un contratto di lavoro e non genera diritti come ferie, tredicesima, malattia o maternità. È un’esperienza di apprendimento, non di subordinazione.

Esistono due forme di tirocinio:

  • il curriculare, destinato a studenti e studentesse che devono completare il proprio percorso di studi;
  • l’extracurriculare, rivolto a chi ha già terminato la formazione e cerca un primo contatto con il mondo del lavoro.

Il tirocinio curriculare è parte integrante del percorso scolastico o universitario e serve per ottenere crediti formativi. In questo caso non è prevista una retribuzione, ma è garantita la copertura assicurativa. Il tirocinio extracurriculare, invece, prevede un’indennità economica minima, fissata dalle Regioni. Nel 2025, ad esempio, la Regione Lazio ha confermato l’importo minimo di 800 euro mensili, mentre altre Regioni come Emilia-Romagna o Lombardia prevedono soglie leggermente diverse, ma mai inferiori a 500 euro.

Il tirocinio dura in genere da due mesi fino a un anno, ma può arrivare a 24 mesi per persone con disabilità, come stabilito dal D.M. 142/1998. È sempre richiesto un progetto formativo che definisca obiettivi, attività e competenze da acquisire, firmato dal tirocinante, dall’ente promotore e dall’azienda ospitante.

Durante il percorso, il tirocinante è seguito da un tutor aziendale e da un tutor formativo dell’ente promotore, che monitorano il corretto svolgimento dell’esperienza. Il tirocinio non garantisce un’assunzione, ma può aprire la strada a un contratto di lavoro, spesso proprio di apprendistato.

L’apprendistato: un contratto di lavoro con finalità formative

Diversamente dal tirocinio, l’apprendistato è a tutti gli effetti un contratto di lavoro a tempo indeterminato che prevede una fase iniziale di formazione, teorica e pratica, finalizzata all’acquisizione di una qualifica professionale. È regolato dal D.Lgs. 81/2015, parte integrante del Jobs Act, e aggiornato dalle successive circolari INPS e dal decreto attuativo del Piano Giovani 2024.

L’apprendistato è riservato ai giovani tra i 15 e i 29 anni, ma sono previste deroghe per chi percepisce un’indennità di disoccupazione. Durante l’apprendistato, il lavoratore ha diritto a ferie, malattia, maternità, contributi e tredicesima, come qualsiasi altro dipendente.

La principale differenza rispetto a un contratto “standard” è che la retribuzione cresce progressivamente: si parte da una percentuale del salario previsto dal contratto collettivo nazionale, per arrivare allo stipendio pieno al termine del periodo formativo.

Esistono tre tipologie di apprendistato:

  • l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, pensato per studenti che vogliono alternare scuola e lavoro;
  • l’apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere, rivolto a chi vuole imparare una professione pratica;
  • l’apprendistato di alta formazione e ricerca, utilizzato da università e imprese per formare figure altamente specializzate o ricercatori.

La durata varia da due a cinque anni, in base alla tipologia e al contratto collettivo applicato. Alla fine del percorso, se nessuna delle parti esercita il diritto di recesso, il contratto prosegue automaticamente come tempo indeterminato.

Un vantaggio importante riguarda anche i benefici fiscali: le aziende che assumono apprendisti godono di sgravi contributivi, previsti dal Ministero del Lavoro, il che rende l’apprendistato una formula vantaggiosa per entrambe le parti.

Stage e apprendistato: le differenze sostanziali

Nel linguaggio comune, “stage” e “apprendistato” vengono spesso confusi, ma nel diritto del lavoro rappresentano due mondi diversi. Il tirocinio (o stage) non è un rapporto di lavoro, ma un periodo di formazione e orientamento; l’apprendistato invece è un contratto di lavoro vero e proprio.

Questa distinzione si riflette in modo evidente sulla retribuzione. Il tirocinante riceve un’indennità o rimborso spese, non uno stipendio. L’importo minimo varia da Regione a Regione, ma non può essere inferiore a quello fissato dalle linee guida nazionali. L’apprendista, invece, ha diritto a uno stipendio secondo il CCNL di categoria, comprensivo di ferie e contributi.

Anche sul piano dei diritti le differenze sono nette: chi svolge un tirocinio non matura ferie, permessi o malattia retribuita, mentre l’apprendista sì. In caso di maternità, il tirocinio può essere sospeso, ma non dà diritto a congedi o indennità. L’apprendista, invece, beneficia delle tutele previste dal Testo Unico sulla maternità e paternità – D.Lgs. 151/2001.

Il praticantato: il passaggio obbligato per le professioni ordinistiche

C’è poi il praticantato, un percorso particolare che riguarda chi vuole accedere a un albo professionale. Non è un contratto di lavoro e ha finalità esclusivamente formativa. Il praticante lavora presso uno studio o un professionista abilitato per un periodo di 18 mesi, come stabilito per esempio dall’Ordine degli Avvocati o dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti.

A differenza del tirocinio, il praticantato non prevede necessariamente un’indennità, anche se negli ultimi anni molti ordini professionali hanno introdotto compensi minimi. Nel 2025, per esempio, il CNF ha raccomandato un rimborso non inferiore a 400 euro mensili, pur lasciando autonomia ai singoli ordini territoriali.

Il praticantato non ha limiti di età e non costituisce un rapporto di lavoro subordinato. Al termine del periodo, il praticante può accedere all’esame di abilitazione e, una volta superato, iscriversi all’albo professionale.

Cosa accomuna stage/tirocinio e apprendistato?

Nonostante le differenze, queste tre esperienze condividono alcuni tratti comuni: la formazione, la presenza di un tutor e l’obiettivo di favorire l’inserimento nel mondo del lavoro. Sono strumenti che puntano a colmare il divario tra scuola e impresa, tra studio e realtà lavorativa.

Molte aziende utilizzano il tirocinio come primo passo per valutare una risorsa e, se l’esperienza è positiva, proporre un contratto di apprendistato. È un percorso logico e vantaggioso: il giovane entra gradualmente nel mondo del lavoro, mentre l’impresa può formarlo secondo le proprie esigenze, con un investimento economico sostenibile.

Oggi, quindi, parlare di stage, tirocinio o apprendistato significa parlare di percorsi di crescita che, se ben strutturati, rappresentano il ponte tra scuola e lavoro. L’importante è conoscerne le differenze: il tirocinio è formazione, l’apprendistato è lavoro, il praticantato è abilitazione. Tre strade diverse verso lo stesso obiettivo: trasformare la teoria in esperienza e l’esperienza in futuro.

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