Sistema produttivo italiano in allarme con il super-euro

Nicola D’Antuono

10 Marzo 2014 - 06:30

Euro super sui mercati valutari, ma questa non è una buona notizia per gli esportatori dell’eurozona. In sofferenza sono soprattutto i paesi con le economie più deboli

Sistema produttivo italiano in allarme con il super-euro

Il rally messo a segno dall’euro la scorsa settimana ha fatto scattare l’allarme in tutti quei paesi dell’eurozona che fanno leva sull’export per rilanciare la propria economia. D’altronde i paesi europei con le economie più deboli, in particolare quelli periferici (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia), devono fare i conti con una domanda domestica ridotta al lumicino a causa della notevole riduzione dei redditi disponibili delle famiglie e per la disoccupazione record. L’export diventa così l’unica vera via d’uscita da una crisi che non sembra avere fine, o quantomeno l’unico modo per sopravvivere in attesa di tempi migliori. Ora, però, le aziende esportatrici dovranno fare i conti con il nemico che non ti aspetti, che fino all’estate di due anni fa era praticamente in ginocchio e addirittura sull’orlo della deflagrazione. Stiamo parlando dell’euro, o meglio del super-euro.

In una fase storica dei mercati globali in cui le principali aree economiche del mondo stanno attuando una politica di svalutazione competitiva della valuta nazionale per rilanciare la crescita, l’Ue-18 è l’unica area economica e monetaria dove non esiste una vera e propria politica del tasso di cambio e dove l’unico obiettivo della banca centrale è la stabilità dei prezzi nel medio termine. Nonostante le pericolose pressioni deflazionistiche in corso, la BCE continua a mantenere una politica monetaria espansiva molto “accademica”, fatta quindi quasi esclusivamente di bassi tassi di interesse. Negli ultimi anni sono stati davvero pochi gli interventi “non convenzionali” della BCE e la conseguenza di questa politica monetaria è il rally dell’euro sui mercati internazionali.

Il problema è che un euro eccessivamente forte rischia di compromettere la già fragile ripresa dell’eurozona, che finora non può contare sulla domanda interna a causa dei gravi problemi economici che stanno affliggendo la popolazione continentale. Ora che l’euro ha superato anche quota 1,39 dollari le aziende esportatrici dovranno fare i salti mortali per combattere la concorrenza nel commercio internazionale di aziende ucraine, turche, giapponesi, coreane e di altri mercati emergenti. In Italia è scattato un vero e proprio allarme nell’intero sistema produttivo. Si teme una brusca frenata dell’export. Sono diverse le testimonianze di imprenditori che si lamentano del super-euro. Ad esempio Ruggero Brunori, a capo delle acciaierie Ferriera Valsabbia, dichiara di aver perso alcune importanti commesse a causa dell’euro forte. Tuttavia, chiosa l’imprenditore, anche solo un cambio euro/dollaro a 1,25 consentirebbe di “conquistare il mondo”.

Giannantonio Brucola, imprenditore della meccanica e tra i leader mondiali nelle viti per testata motore, ritiene che aumentare i prezzi è assolutamente impossibile. La sua azienda, che ha un fatturato esclusivamente basato sulle esportazioni all’estero, sta incontrando grosse difficoltà con l’euro eccessivamente forte. Brucola sottolinea che “siamo ad una soglia di super-guardia”. In sofferenza c’è anche il settore delle ceramiche, un comparto in cui l’export vale l’80% dei ricavi. Emilio Mussini, presidente di PanariaGroup, afferma che “anche verso i paesi emergenti siamo in difficoltà, perché progressivamente in quelle aree i prodotti italiani diventano più cari”. Fortunatamente l’export italiano è in gran parte posizionato nella fascia alta di mercato, in posizioni di nicchia dove si riesce a svincolarsi un po’ dalla concorrenza sui prezzi.

Tuttavia, è chiaro che se la forza dell’euro dovesse mantenersi su questi livelli o addirittura crescere ancora, la situazione potrebbe diventare insostenibile. Gian Carlo Vandone, a capo della Parcol, azienda lombarda di valvole, sottolinea che la produzione di nicchia consente di smarcarsi dalla concorrenza, ma ricorda anche che “1,40 è davvero un livello di guardia”. C’è poi chi come Lorraine Berton, imprenditrice bellunese dell’occhialeria, punta il dito contro tasse e burocrazia. La sua azienda è basata sull’export, che vale per l’80% del fatturato. Uno dei suoi migliori clienti è americano. L’imprenditrice sottolinea che, siccome questa azienda statunitense paga in dollari, il rischio è quello di “mangiarsi tutti gli utili di un anno”. Difficile poi pensare di aumentare i prezzi, in quanto gli americani hanno già fatto intendere che in questo caso andrebbero a rifornirsi in Cina. Secondo l’imprenditrice, in pratica la politica dell’Unione europea punta “ad affondare gli ultimi imprenditori rimasti in piedi”.

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