Perché la BCE non riesce a indebolire l’euro? Ecco i tre motivi principali

Nicola D’Antuono

20/06/2014

Nonostante il recente annuncio della BCE di un maxi-piano di stimolo monetario per rilanciare credito e inflazione, l’euro resta sopra 1,36 dollari

Perché la BCE non riesce a indebolire l’euro? Ecco i tre motivi principali

Lo scorso 5 giugno la BCE ha tagliato i tassi di interesse al minimo storico dello 0,15% dallo 0,25% precedente. Inoltre ha portato il tasso sui depositi overnight su valori negativi, a -0,1% dallo 0%, per la prima volta nella storia dell’euro. Accanto a queste misure ultra-espansive di politica monetaria l’Eurotower ha annunciato finalmente un pacchetto di stimoli monetari mirato per rilanciare il credito nell’eurozona, nel quale spiccano due aste “targeted Ltro” (Tltro) da 400 miliardi di euro complessivi.

Il board della BCE ha poi fermato la sterlizzazione degli acquisti di titoli di stato, inclusi nel programma SMP (lanciato nel 2010 nel bel mezzo della crisi del debito pubblico europeo), e preparato il terreno per l’acquisto dei titoli cartolarizzati (Abs). In più, se tutto ciò non dovesse bastare per riportare l’inflazione verso il target di medio periodo del 2% e rilanciare il credito a famiglie e imprese, l’istituto monetario di Francoforte si è detto pronto ad implementare un piano di quantitative easing come già avvenuto in altre aree economiche (Stati Uniti e Giappone in primis).

Tutta questa serie di misure monetarie ultra-espansive non sono servite per ora a indebolire l’euro, che anzi si è rafforzato sul dollaro americano nonostante una temporanea discesa in area 1,35. Ieri il cambio euro/dollaro ha sfiorato 1,3650, mentre il giorno prima dell’ultima riunione della BCE era in area 1,36. Il deprezzamento dell’euro risulta fondamentale per sostenere l’export dei paesi dell’eurozona, soprattutto quelli che stanno sperimentando una pesante crisi economica come l’Italia e la Francia. D’altronde più del 50% dell’economia dell’Ue-18 è imperniata sull’export.

Il cambio dell’euro a 1,36 dollari è tutto sommato una buona notizia, perché a inizio maggio scorso era stata sfiorata addirittura quota 1,40, ma nel medio-lungo periodo servirebbe una maggiore svalutazione per sostenere la già fragile ripresa economica dell’eurozona. I paesi dell’area euro più in difficoltà, soprattutto il blocco dei Piigs, sperano in un cambio sotto 1,30. Ma perché la BCE non riesce a indebolire la moneta unica, nonostante le recenti misure monetarie ultra-accomodanti e le aspettative di nuovi interventi?

Possono essere elencate tre grandi ragioni alla base della tenuta dell’euro nei confronti del biglietto verde. In primis c’è il surplus della bilancia commerciale, che ormai non riguarda più soltanto la Germania (che tra l’altro ha un avanzo primario record). Anche i Piigs stanno registrando surplus significativi, complice il fatto che la domanda domestica è costantemente ferma al palo: si importano sempre meno merci straniere, visto che i redditi disponibili sono in continuo calo. Siccome l’eurozona esporta molto più di quello che importa, il surplus commerciale che ne scaturisce crea una forte domanda di euro.

Il secondo motivo alla base della tenuta della moneta unica sul dollaro è il boom dei flussi di capitali esteri verso l’area euro, di gran lunga superiori ai deflussi. Ciò avviene perché, in uno scenario di mercato con tassi a zero un po’ dappertutto, gli investitori si stanno lanciando a mani basse sugli asset denominati in euro che ancora riescono a offrire rendimenti dignitosi al netto dell’inflazione. Il terzo motivo ci porta proprio alle dinamiche dei prezzi al consumo, che continuano a diminuire pericolosamente tanto da aver spinto la BCE ad agire in modo aggressivo.

A maggio l’inflazione nell’eurozona si è attestata allo 0,5%, circa un terzo in meno di quella calcolata negli Stati Uniti. Mentre nel Vecchio Continente l’inflazione tende verso lo zero, con rischi di deflazione, dall’altra parte dell’oceano la prima potenza economica del pianeta sta sperimentando un trend leggermente crescente che vede i prezzi al consumo puntare verso il target del 2%. Le dinamiche relative alle basse aspettative di inflazione sostengono così l’euro, che almeno per ora si sta dimostrando un vero osso duro non facile da indebolire soltanto attraverso la politica monetaria della BCE. Ora tocca ai governi nazionali fare la loro parte, altrimenti l’eurozona rischia una lunga e snervante fase di stagnazione economica senza alcuna via d’uscita.

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