Perché Bitcoin può arrivare a $200.000 entro fine 2021

Pierandrea Ferrari

22 Giugno 2021 - 11:50

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Nonostante i pesanti storni dell’ultimo mese, ci sono segnali bullish incontrovertibili che potrebbero favorire un allungo del Bitcoin fino alla quota (monstre) di 200.000 dollari entro l’anno. A dirlo, i vertici dell’exchange Kraken: ecco cosa ci hanno raccontato.

Perché Bitcoin può arrivare a $200.000 entro fine 2021

Bitcoin potrebbe toccare quota 200.000 dollari entro la fine del 2021. La previsione, che spezza quel sentiment ribassista innescato dal dietrofront di Elon Musk sui pagamenti in criptovaluta per le auto Tesla, e poi rafforzato dalla stretta cinese delle ultime ore, arriva dal CEO dell’exchange Kraken, Jesse Powell, che in occasione di una chiacchierata con il network USA Bloomberg si è detto “super bullish” sul BTC.

Ma cosa si nasconde dietro un target price che, a ben vedere, implicherebbe un apprezzamento della crypto del 530% dalla quotazione corrente? Ne abbiamo parlato con il Managing Director for Europe della piattaforma statunitense, Curtis Ting.

I fattori rialzisti che spingono Bitcoin verso i $200.000

Ting, riprendendo lo scenario tracciato da Powell, ha affermato che “la mancanza di vendite da parte dei detentori di Bitcoin di lungo corso evidenzia una fiducia sottostante nei fondamentali della crypto. Con l’halving ogni quattro anni (il più recente nel maggio del 2020) e un numero di detentori di BTC pari a circa 70 milioni, e cioè più della popolazione dell’Italia, la domanda continua a superare l’offerta. Un segnale rialzista”.

Senza dimenticare, poi, la questione relativa alla crescita dell’inflazione negli Stati Uniti, effetto della liquidità iniettata nel sistema USA dalle amministrazioni Trump e Biden per defibrillare l’economia nazionale. L’indice dei prezzi al consumo ha registrato un aumento su base annua del 4,2% ad aprile e del 5% a maggio, e sebbene dalla Fed e dal Tesoro parlino di un trend transitorio, alcuni governatori della banca centrale hanno già ipotizzato un ritocco verso l’alto dei tassi di interesse a partire dal 2023.

La domanda potrebbe accelerare in risposta ad una inflazione oltre il target (2%, ndr)”, secondo Ting. “Alcune banche centrali si stanno già preparando ad una stretta della politica monetaria, visto che l’inflazione incombe sul sistema finanziario globale”. E, in tal senso, “l’offerta fissa di Bitcoin, unitamente alla sua natura deflazionistica, rendono la crypto un riparo ideale”.

Bitcoin, i fattori ribassisti

Ma come può essere letto, in questo contesto, quel groviglio di fattori ribassisti che nell’ultimo mese ha innescato un pullback di oltre il 40%? Parliamo notoriamente della stretta regolatoria, già avviata in Cina e caldeggiata dalle alte sfere negli Stati Uniti, e dell’impatto ambientale del mining, quest’ultimo dietro la giravolta-shock di Musk.

Per quanto riguarda i chiari di luna sul fronte normativo, e soprattutto l’esodo dei miner dalla Cina, secondo Ting l’effetto sarà quello di un Bitcoin “distribuito meglio a livello globale, rendendolo più resiliente nel lungo termine e meno esposto alla volatilità nel breve”. Inoltre, “il fatto che i regolatori stiano iniziando ad interloquire con l’industria indica un tacito riconoscimento della criptovaluta come asset class”.

Insomma, un potenziale deterrente che si fa atto di legittimazione. E anche sul fronte delle implicazioni ambientali dell’uso dei super computer atti ad estrarre i token, rileva Ting, c’è poco da temere. La questione, infatti, “non è nuova, ed ha ricevuto una significativa attenzione da parte della stampa mainstream nel corso degli ultimi quattro anni. Alcuni studi recenti indicano che il 39% dell’energia utilizzata nel mining deriva in realtà da fonti rinnovabili, e comunque la questione è stata già prezzata, negli anni, dal mercato. Per questo il suo impatto sulla quotazione futura potrebbe essere in una certa misura limitato”.

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