Pensione opzione donna: non c’è pace per le lavoratrici disposte a scegliere il sistema contributivo pur di accedere al trattamento previdenziale loro dedicato. Seimila donne, infatti, rischiano di essere escluse dall’opzione contributiva a causa di un limite imposto dall’Inps: eppure la Ragioneria di Stato contesta le cifre e non sembra intenzionata a dare l’ok alla proroga.
Pensione opzione donna, un regime sperimentale pensato per le lavoratrici che sta facendo molto discutere in questi giorni. Da argomento passato inizialmente un po’ in sordina, anche a causa del carattere un po’ tecnico della questione, si sta facendo spazio l’idea che forse, per l’ennesima volta, ci troviamo di fronte a una stortura del nostro sistema previdenziale.
Opzione contributivo donne: una scappatoia dalla Riforma Fornero
Di cosa intendiamo quando parliamo dell’opzione contributiva per le donne lo abbiamo già raccontato più volte; che si tratti di un regime sperimentale con un termine ben preciso (il 2015) era chiaro a tutti, meno noto era come una semplice circolare Inps fosse, nel frattempo, riuscita a impedire il pensionamento di migliaia di donne. Per farla breve, il combinato disposto dell’applicazione della finestra mobile e dell’adeguamento all’aspettativa di vita ha fatto in modo che per avere accesso alla pensione il diritto debba essere maturato anche con 21 mesi di anticipo. Altro che 2015.
Una vicenda ancor più paradossale, soprattutto se si pensa che questa opzione era ormai l’unica via di salvezza dalla mannaia previdenziale scattata nel 2012 con la riforma targata Elsa Fornero. Una scelta, per le donne di 57 anni (58 per le lavoratrici autonome) e con 35 anni di contributi alle spalle, che aveva un costo ben preciso: il regime contributivo, appunto, con una riduzione dell’assegno pensionistico in media del 25 per cento.
Quali costi se l’opzione donna venisse prorogata?
Eppure, secondo una stima effettuata dall’Inps e riportata anche da Il Sole 24 ore, eliminando il doppio limite si avrebbe incontro a un incremento di appena 6 mila domande di pensione nel biennio 2015-2016, e i costi aumenterebbero solo nel medio periodo (+ 554 milioni tra il 2014 e il 2019) per poi calare di 353 milioni di euro successivamente, proprio perché gli assegni contributivi sono meno onerosi per le casse dello Stato. Nonostante ciò, sempre stando a quello che riporta il quotidiano di Confindustria, la Ragioneria Generale dello Stato non sarebbe affatto persuasa dell’attendibilità di queste cifre: in particolare, riterrebbe molto sottostimata la proiezione sui 6 mila pensionamenti, con un inevitabile aumento dei costi previsti.
Nessuna novità dal Parlamento
Intanto, non giungono ancora novità di rilievo dal fronte parlamentare: il tentativo di allungare la sperimentazione contributiva fino al 2018 (estendendola anche agli uomini) è già naufragata questa estate, e permangono tuttora forti dubbi sulla possibilità di individuare una copertura economica tale da soddisfare la Ragioneria.
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