La contrazione dell’economia europea, alimentata dalla pandemia, accende i riflettori sulla temuta imposta patrimoniale. Ecco come funziona nei Paesi che già la prevedono.
Con la seconda ondata del coronavirus in Europa si torna a parlare, anche in Italia, dell’imposta patrimoniale.
La tassa sulla ricchezza, che viene calcolata sul patrimonio mobile e immobile dei contribuenti, è uno strumento a disposizione dei Governi per rafforzare l’economia, fortemente indebolita dalle restrizioni volte a contenere il contagio.
Ma come funziona la patrimoniale nei Paesi che già la usano? Ecco un esaustivo giro di ricognizione sulle imposte già in vigore nel vecchio continente.
Le imposte patrimoniali in Europa
Le imposte che colpiscono il patrimonio dei cittadini - e non il reddito da lavoro - rappresentano tradizionalmente la misura più impopolare dei sistemi tributari europei. Tuttavia, sono diversi i Paesi che fanno ricorso a questo strumento per irrobustire le casse statali.
In Spagna, ad esempio, c’è un’imposta che si applica sull’intero patrimonio dei cittadini, ad esclusione di terreni, beni d’impresa e schemi pensionistici. Il valore massimo dell’aliquota, che è al momento a quota 2,5%, potrebbe essere aumentato di un punto percentuale per i patrimoni che eccedono i 10 milioni di euro. Il federalismo fiscale spagnolo, tuttavia, rende la situazione particolarmente nebulosa poiché sono le regioni a determinare se applicare o meno l’imposta. Madrid, ad esempio, esenta i cittadini della capitale dal tributo.
Più chiare, invece, le condizioni che definiscono le imposte patrimoniali aldilà delle Alpi, in Svizzera. Nel piccolo Stato europeo è l’intero patrimonio mobile – con alcune eccezioni - ad essere tassato, con aliquote che si posizionano in una forbice ampia, 1,3-9%. Prevista un’imposta anche sul patrimonio immobile, sebbene quest’ultima non venga applicata da alcuni Cantoni, come Zurigo.
Più rigida la presa dello Stato in Francia, dove vi è un’imposta sui beni immobili con aliquote del 0,5-1,5% (prevista, però, una soglia minima di 1,3 milioni di euro). Il quadro francese risulta ancor più articolato se si prendono in considerazione le innumerevoli tasse locali che i cittadini devono pagare.
Nessuna traccia di imposte patrimoniali, invece, in Germania, dove la questione ha sollevato in passato problemi di legittimità costituzionale. Discorso aperto, al contrario, in Gran Bretagna, con i lockdown di Boris Johnson che impongono un’accurata riflessione sullo stato di salute dell’economia britannica.
Rischio di nuove patrimoniali in Italia?
Il dibattito sulle imposte patrimoniali suscita storicamente rumorose reazioni in Italia. La memoria, infatti, associa questa misura a quel prelievo forzoso che il Governo Amato, nel 1992, operò sui conti correnti degli italiani per rimpinguare le casse statali in seguito al crollo della Lira.
La verità, tuttavia, è che imposte patrimoniali sono già previste nel sistema tributario italiano, sebbene non invasive come lo strumento utilizzato ad inizio anni Novanta. L’Imu – abolita solo per le prime case – è infatti una patrimoniale, applicata sugli immobili degli italiani con un’aliquota del 0,76%. Anche l’Ivie, l’imposta di bollo e l’Ivafe colpiscono il patrimonio dei cittadini, dagli immobili all’estero agli asset finanziari.
La pandemia in corso, tuttavia, ha stravolto i fondamentali economici del Paese, portando gli osservatori ad interrogarsi sull’opportunità di introdurre nuove imposte patrimoniali. Di mercoledì le parole del Ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, che in un’intervista rilasciata ad un’emittente televisiva si era detto “favorevole a una forma di tassazione sulle successioni per le grandi ricchezze”.
Ma le probabilità che il Governo Conte ricorra a nuove imposte patrimoniali per fronteggiare la crisi economica rimangono, al momento, remote. La fiducia è infatti riposta sul meccanismo di aiuti comunitari denominato Recovery Fund. Solo il fallimento di questo programma potrebbe modificare l’attuale scenario politico-economico e convincere il Premier a saltare il fosso.
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