E se tutto questo odio verso Putin fosse perché ha rotto il giocattolino di Greta?

Mauro Bottarelli

2 Aprile 2022 - 13:00

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La crisi ucraina ha fatto esplodere le contraddizioni di una corsa alla transizione ingestibile e finalizzata solo al business ESG. Ma il cambio forzato di agenda ora muterebbe gli equilibri globali

E se tutto questo odio verso Putin fosse perché ha rotto il giocattolino di Greta?

Altro giro, altro effetto sanzionatorio che viene meno. Nel silenzio generale, la Banca centrale russa - preso atto del totale recupero delle perdite belliche da parte del rublo - ha comunicato il ritiro immediato di uno dei più stringenti controlli di capitale imposti come difesa contro i congelamenti delle riserve monetarie: i cittadini possono ricominciare a versare all’estero fino a 10.000 dollari al mese o il corrispettivo in altra valuta. Per ora, la possibilità è ristretta solo a trasferimenti verso Paesi non ostili ma appare chiaro a tutti che questo limite sarà il prossimo a cadere, una volta risolto il braccio di ferro con gli Stati europei sulle modalità di pagamento del gas.

Insomma, un’altra tessera del mosaico cade a terra. E ora i vuoti cominciano davvero a diventare visibili e poco presentabili all’esterno. Tanto che anche i media più entusiasticamente schierati a favore delle sanzioni paiono costretti a esprimere qualche timido dubbio al riguardo della loro efficacia reale. E, soprattutto, rispetto alla supposta incapacità del Cremlino di leggere la situazione. Non a caso, Germania, Francia e Italia paiono tutt’altro che a loro agio con l’ultimatum di Gazprom rispetto ai versamenti in rubli. Ma se i flussi per ora rimangono entro un range di non allarme immediato e paiono destinati a restarlo fino alla prossima scadenza di fine aprile, ecco che lo strano attacco a un deposito di Rosneft in territorio russo apre scenari inquietanti. Offrendo chiavi di lettura nuove.

Mosca accusa Kiev e, se fosse vera la versione del Cremlino, si tratterebbe del primo contrattacco ucraino in territorio nemico. Quanto accaduto peserà sui negoziati, ha dichiarato Mosca. Non siamo stati noi, rispondono gli ucraini. Dopo oltre 10 ore dall’accaduto, però . E soprattutto, dopo che il ministero della Difesa aveva immediatamente avanzato l’ipotesi di una false flag dei russi per giustificare la nuova offensiva in grande stile che starebbero preparando. Insomma, chi ha attaccato l’impianto di Belgorod, 30 chilometri a nord del confine ucraino? Due elicotteri MI-24 di Kiev o la stessa Armata Rossa? Ad ora, mistero. In compenso, altra contorsione dei media: ciò che fino a ieri era bollato come armamentario da complottisti, oggi rappresenta invece uno degli strumenti di guerra asimmetrica a disposizione dei contendenti che intendano giocare sporco. Nemmeno a dirlo, la Russia.

Certo, il fatto che a essere colpito sia stato un deposito di quella Rosneft che vede a capo del consiglio di vigilanza l’ex cancelliere tedesco, Gerard Schroeder, evoca qualche simbolismo. E genera qualche sospetto. Da un lato, infatti, si fa notare come quanto accaduto potrebbe in effetti rappresentare uno spoiler del timore più grande fra i militari: la cosiddetta operational miscalculation, cioè il rischio di un incidente che operi da casus belli per un’escalation del conflitto su larga scala e che comporti il coinvolgimento diretto della Nato. In tal senso, pesa la denuncia del ministro della Difesa Usa, Lloyd Austin e del presidente del Joint Chiefs of Staff, generale Mark A. Milley: dall’inizio delle operazioni militari in Ucraina, il Pentagono avrebbe più volte cercato di contattare la controparte russa proprio al fine di coordinare i movimenti - soprattutto delle forze aeree - ma il ministro Sergei Shoigu e il generale Valery Gerasimov si sarebbero sempre negati.

Insomma, si vola alla cieca. Spesso sul filo dello spazio aereo nemico. O invadendolo platealmente, come accaduto recentemente in Svezia. E l’incidente di Belgorod suona in tal senso anche come un implicito avvertimento ai Paesi che potrebbero rientrare nella categoria dei cosiddetti garanti di Kiev nei negoziati - fra cui figura proprio l’Italia su diretta richiesta del presidente Zelensky -, poiché questo comporterebbe l’obbligo da parte dei firmatari di un intervento militare in caso di violazione da parte di un aggressore. Una sorta di estensione de facto a favore dell’Ucraina dell’articolo 5 della Nato. Pericolosissima.

Ma è stato il clima tesissimo registrato nel vertice fra Ue e Cina tenutosi in contemporanea a far pensare a un’agenda parallela che - con il passare dei giorni - comincia giocoforza e sempre più carica di insidie a disvelarsi. Con le sue agende nascoste. A partire da quella principale contenuta in questo grafico

Andamento del prezzo del carbonato di litio per tonnellata Andamento del prezzo del carbonato di litio per tonnellata Fonte: Bloomberg

e nel report di Morgan Stanley che lo contiene: l’aumento a dismisura del prezzo del carbonato di litio, elemento chiave per la produzione delle batterie per auto elettriche, rischia di innescare una distruzione di domanda rispetto al comparto automotive EV. Si parla di un aumento di cinque volte tanto in un anno e di 74.000 dollari per tonnellata all’ultima valutazione, un contesto che a detta dell’analista Jack Lu già oggi presuppone un aumento del prezzo da parte dei produttori del 15% almeno. Insomma, il going green sta diventando sempre più caro da gestire. E se il litio non bastasse, le scorse settimane hanno mostrato un trend simile per un altro metallo-base come il nickel.

Ed ecco il timore che comincia a serpeggiare in molti analisti: la crisi ucraina ha forse fatto esplodere del tutto le contraddizioni di una transizione ecologica cavalcato più sulle spinte emotive e mediatiche delle intemerate di Greta Thunberg che su reali calcoli di sostenibilità macro e produttiva? Se così fosse, forse si spiegherebbe anche l’ondata senza precedenti di russofobia, la mobilitazione acritica in favore di Kiev e la de facto sostituzione della stessa Greta Thunberg con Volodymyr Zelensky nell’immaginario collettivo dell’eroe che lotta contro le ingiustizie in nome del mondo intero. La prima contro il cambiamento climatico, il secondo contro l’autoritarismo invasore.

Perché la strategia di weaponization (tramutare in arma) delle commodities energetiche messa in campo dal Cremlino, fino alla mossa finanziaria anti-sanzioni del pagamento del gas in rubli, espone l’intero castello ESG a una ridiscussione radicale. Quantomeno nei tempi e, di conseguenza, nei controvalori degli impegni delle varie agende nazionali e sovranazionali, vedi ad esempio il Green New Deal europeo e il fiorente mercato obbligazionario a esso legato. Per non parlare di un azionario che ormai base i suoi presupposti su quanto mostrato da questi grafici

Comparazione fra active e passive funds per assets allocati negli Usa Comparazione fra active e passive funds per assets allocati negli Usa Fonte: Bank of America
Paniere long/short dei dieci titoli più underweight e overweight Paniere long/short dei dieci titoli più underweight e overweight Fonte: Bank of America

ovvero, passive funds che entro dieci anni rischiano di lasciare senza lavoro gli stock pickers professionali e, soprattutto, un decennio che è campato su un’unica strategia, basata sul combinato di sostegno delle Banche centrali e appunto bolle cicliche gonfiate ad arte da media e social: short the most popular stocks, go long the most shorted ones. Se ora salta l’iconoclastia green, tutto si rimescola. Per centinaia di miliardi.

Insomma, Russia e Cina stanno riportando al centro del gioco gas, petrolio e carbone, tramutando il contenimento delle emissioni in lusso non alla portata del momento di emergenza attuale e impostando un nuovo ordine globale. Non ultimo, utilizzando le risorse naturali come backing valutario e arma di ricatto. Quanto sta accadendo fra Mariupol e Kiev si sostanzia come la rottura del giocattolino green su cui tanto avevano contato i governi per garantirsi deficit e la finanza per generare la nuova bolla post-SPAC? Se così fosse, gli interessi in campo sarebbero enormi. E potrebbero portare a decisioni irresponsabili. Di cui Belgorod potrebbe essere la Sarajevo.

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