Occupazione abusiva: sanzioni e come tutelarsi

Marco Montanari

27 Novembre 2021 - 14:19

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Cosa prevede la legge in caso di occupazione abusiva? Ecco come è possibile tutelarsi: querela, sanzioni penali e azioni in sede civile.

Occupazione abusiva: sanzioni e come tutelarsi

Come comportarsi nel caso di occupazione abusiva, ovvero in presenza di persone estranee all’interno della vostra abitazione?

Può succedere, ad esempio, al ritorno dalle vacanze estive, di trovare inaspettatamente dentro casa soggetti estranei, entrati abusivamente a vostra insaputa e determinati a stanziarsi stabilmente.

Comunemente, in questi casi si parla di «occupazione abusiva», ma bisogna precisare che, in realtà, la legge definisce la fattispecie diversamente: l’art. 633 del Codice penale, nel definire il reato di occupazione abusiva, parla di «invasione di terreni o edifici».

Purtroppo, la soluzione al problema non è così semplice e immediata: ecco come fare per tutelarsi al meglio.

Occupazione abusiva: sanzioni e tutela penale

Come detto, l’occupazione abusiva è definita dal Codice penale come il reato di invasione di terreni o edifici.

In particolare, l’art. 633, c.p. sanziona penalmente “chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto”.

La citata norma penale prevede, per chi si rende colpevole del reato di invasione di terreni o edifici, alternativamente:

  • la reclusione fino a due anni;
  • la multa da 103 euro a 1.032 euro.

È poi prevista una pena maggiore per l’ipotesi aggravata di reato, che ricorre nel caso in cui il fatto è commesso da più di cinque persone o da persona palesemente armata.

In questo caso è prevista la pena della reclusione da due a quattro anni e della multa da euro 206 a euro 2.064 nonché la possibilità, per l’Autorità giudiziaria, di procedere anche d’ufficio (quindi, senza la necessità di una querela da parte della persona offesa).

Infine, lo stesso articolo 633 prevede un ulteriore aumento di pena per i promotori o gli organizzatori della condotta criminosa.

Solitamente, il primo pensiero davanti a un caso di occupazione abusiva è quello di rivolgersi alla Forza Pubblica (Polizia o Carabinieri) per denunciare l’accaduto e ottenere la liberazione dell’immobile.

Questa, però, non è la strada più risolutiva ed efficace.

Sebbene, infatti, il comportamento in questione sia considerato dalla legge reato, le Forze dell’ordine potranno fare ben poco per costringere gli intrusi a lasciare la vostra abitazione.

Soltanto in caso di flagranza di reato, infatti, la Polizia Giudiziaria ha il potere-dovere di intervenire per impedire che il reato venga portato a conseguenze ulteriori.

È comunque consigliabile segnalare l’accaduto alle autorità sporgendo denuncia/querela per il reato previsto dall’art. 633, c.p., chiedendo di perseguire penalmente i responsabili.

Infatti, è bene ricordare che, qualora in base alla vostra querela dovesse prendere avvio un procedimento, sarà per voi possibile costituirvi parte civile nel relativo processo penale in quanto persone offese dal reato.

In questo caso, potrete richiedere al giudice penale la condanna dei responsabili anche al risarcimento del danno causato dalla loro condotta illecita.

Tuttavia, il giudice penale non potrà in nessun caso condannare gli occupanti alla liberazione dell’immobile.

Come comportarsi allora?

Occupazione abusiva e tutela civile

Come visto, non è possibile chiedere e ottenere in sede penale il rilascio dell’immobile occupato abusivamente.

Dovrete allora ricorrere al giudice civile attraverso due possibili strumenti:

  1. l’azione di reintegrazione (o di spoglio);
  2. l’azione di rivendicazione.

Ma vediamo come funzionano nel dettaglio.

1) L’azione di reintegrazione (o azione di spoglio)

Fa parte delle azioni cosiddette “possessorie”, quelle azioni, cioè, utili alla tutela del possesso.

Secondo il primo comma dell’art. 1168, c.c., “chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l’anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l’autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo”.

La stessa azione spetta, inoltre, al mero detentore del bene.

Secondo la norma indicata, quindi, può ricorrere a tale strumento non solo il formale proprietario, ma anche il possessore o detentore, ovvero colui che abbia la disponibilità del bene per altre ragioni (ad esempio, chi detiene l’immobile come conduttore in base a un contratto di locazione).

Il termine per esercitare l’azione è di un anno, che decorre dalla data in cui è avvenuta l’occupazione abusiva oppure dal momento in cui il soggetto interessato è venuto a conoscenza dello spoglio (perché avvenuto clandestinamente, ossia a sua insaputa).

Tale azione non comporta, per chi agisce in giudizio, particolari formalità: basterà fornire la prova di essere stati possessori o detentori del bene fino all’arrivo degli occupanti abusivi, non essendo invece richiesta la prova della qualità di proprietario formale del bene.

Questo aspetto rende l’azione di reintegrazione lo strumento più celere ed efficace per ottenere il rilascio urgente dell’immobile.

Nel caso i cui l’immobile non venga liberato spontaneamente, una volta ottenuta la pronuncia che condanna gli occupanti al suo rilascio, sarà possibile ottenere la liberazione forzata dell’immobile, anche con l’ausilio della Forza pubblica.

2) L’azione di rivendicazione

È l’azione esercitabile esclusivamente dal formale proprietario dell’immobile. L’articolo 948, c.c. prevede, al riguardo, che il proprietario “può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene”.

In buona sostanza, con tale strumento il proprietario che ha perduto il possesso della cosa può chiedere, previo accertamento della titolarità del proprio diritto, la condanna alla restituzione del bene posseduto da altri.

A differenza dell’azione di reintegrazione, l’azione di rivendicazione non è soggetta a termini di prescrizione.

Pertanto, anche se è decorso il termine annuale per esercitare l’azione di reintegrazione, è sempre possibile (ma solo per il legittimo proprietario del bene) ricorrere allo strumento in esame.

Se durante il giudizio di rivendicazione, la controparte cessa, per fatto proprio, di avere la disponibilità della cosa, sarà obbligata a recuperarla o a corrisponderne al proprietario l’equivalente in denaro, oltre al risarcimento del danno.

Il proprietario, infine, può agire anche contro il nuovo possessore o detentore e conseguire da quest’ultimo la restituzione della cosa.

È importante però sapere che, per la dimostrazione della qualità di proprietario, non sarà sufficiente provare l’esistenza dell’atto di compravendita o di altro titolo equipollente (atto di donazione, testamento, ecc.), e ciò in quanto il venditore potrebbe non essere stato, a sua volta, legittimo proprietario.

È infatti richiesta la prova della legittimità di tutti gli acquisti precedenti, fino ad arrivare al titolo di acquisto originario (si parla, al riguardo, di “probatio diabolica”).

Come per l’azione di reintegrazione, infine, una volta ottenuta la sentenza favorevole, il proprietario potrà ottenere la restituzione forzata del bene.

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