Mosca in default? Nel frattempo si ricorre al private equity per troppe margin calls

Mauro Bottarelli

16 Marzo 2022 - 06:30

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In vista del d-day per i bond russi, Trafigura ha dovuto chiedere finanziamenti a soggetti esterni all’usuale circuito bancario, stante un mercato illiquido. E Ryad accetterà yuan per il suo petrolio

Mosca in default? Nel frattempo si ricorre al private equity per troppe margin calls

In attesa di capire come la Russia affronterà il d-day obbligazionario di oggi, a fronte della minaccia di ripagare i creditori in rubli e della quasi certezza di un grace period che tolga il mercato dall’incertezza legata al riscatto dei premi legati ai credit default swaps contratti dopo il varo delle sanzioni, qualcuno ha già pagato. E a caro prezzo.

Stando a quanto riportato da Bloomberg, infatti, il gigante svizzero delle commodities Trafigura avrebbe giocoforza dovuto ampliare a soggetti del private equity la platea di finanziatori cui rivolgersi per far fronte a quelle che vengono definite margin calls per miliardi di dollari. Insomma, i tremori sul FRA-OIS registrati negli scorsi giorni non sarebbero legati al settore bancario ma a quello delle materie prime, il primo effetto collaterale proprio delle sanzioni occidentali contro la Russia. Di fatto, la tempesta perfetta di tutti i doom loop: a fronte di requisiti sui margini più alti che generano fire sales in un mercato di fatto già pesantemente illiquido, il trend dei prezzi si auto-alimenta e genera in automatico continue margin calls. Le quali vanno onorate. Trovando i soldi dove ci sono.

Nel caso di Trafigura, appunto, fuori dal consueto circuito bancario di finanziamento e nel mondo del private equity. Stando a Bloomberg, il colosso svizzero avrebbe avuto necessità pari a 2-3 miliardi di dollari in liquidità immediata. Il tutto come conseguenza del balzo del petrolio a 139 dollari al barile e del nickel che ha segnato un +250% in poco più di 24 ore nei giorni scorsi. E il mercato comincia a fare i conti con un qualcosa che minaccia di divenire strutturale, quantomeno fino a quando l’attuale tensione in Ucraina continuerà a utilizzare le materie prime come vere e proprie armi. Finanziarie prima che politiche.

Il ragionamento si basa su tre presupposti. Primo, il contraccolpo del cosiddetto de-Swifting delle banche russe, il quale pone i soggetti di mercato di fronte a un colossale punto interrogativo legato alle possibilità di pagamento fra controparti. Secondo, il timore crescente di una spirale di default secondari in stile Lehman, legati direttamente a interconnessioni nascoste fra prestiti e finanziamenti. Terzo e più importante, il legame fra netto aumento dei prezzi delle commodities e dinamiche del mercato di finanziamento, proprio attraverso le forzature delle margin calls. Al centro del gioco, le clearing houses di controparte e la loro decisione di innalzare i requisiti sui margini.

Ma a delineare sempre più un quadro da nuovo ordine economico basato sulle materie prime come collaterale, ci ha pensato sempre ieri l’Arabia Saudita. La quale, en passant, ha assentato un colpo da ko al concetto stesso di petrodollaro, aprendo all’ipotesi di pagamenti in yuan per il greggio che Ryad venderà alla Cina. Di fatto, un cambio radicale di approccio che manderebbe in soffitta l’accordo stipulato nel 1974 con l’amministrazione Nixon, il quale legava la garanzia di sicurezza offerta dagli Usa al Regno proprio all’utilizzo esclusivo del dollaro per il trading petrolifero. Qualcuno ritiene che la mossa, in quanto meramente paventata e per ora senza sviluppi concreti, sia solo l’ennesimo tentativo di ricatto saudita verso Washington, stante anche il timing della notizia.

L’apertura di Ryad verso Pechino, infatti, è seguita a stretto giro di posta alla vittoria diplomatica ottenuta dalla Russia rispetto al negoziato sul nucleare iraniano, avendo Mosca ottenuto l’inserimento di una garanzia scritta da parte di Stati Uniti e Israele che le sanzioni legate all’Ucraina non si riverbereranno sui suoi legami commerciali con Teheran. Un qualcosa che l’Arabia Saudita non ha digerito, soprattutto dopo l’ennesimo scontro proprio con l’Iran a seguito dell’esecuzione capitale di decine di cittadini di confessione sciita nel corso del weekend da record per i boia di Ryad: 81 condanne in due giorni. Insomma, in attesa di capire se i bond russi verranno pagati in rubli o in dollari o magari in yuan, il mondo sta osservando silenziosamente un cambiamento degno della deriva dei continente nel comparto delle commodities. Un nuovo ordine mondiale, diretta conseguenza della crisi ucraina. Capire quanto sia stato primario come obiettivo nascosto e parallelo, è la scommessa del futuro.

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