La Germania è davvero il modello giusto per l’Europa? In Europa la Germania ha conquistato la sua credibilità: governo forte, economia solida, insomma un Paese al culmine della produttività, che ha raggiunto l’apice del successo. Un’illusione di potere?
Questa storia può essere approfondita nell’articolo sulla fine dell’egemonia tedesca in Europa, in questa sede vogliamo soffermarci su un altro aspetto: il welfare.
Pensando al welfare tedesco ci viene in mente la stagione delle riforme del cancelliere Gerhard Schröder (SPD), in particolare la riforma del mercato del lavoro messa in atto tra il 2003 e il 2005, la riforma tedesca Hartz. Una riforma tra luci ed ombre che molti hanno addirittura liquidato come uno “scandalo sociale”, perché pare aver diffuso salari minimi, precarietà e impieghi sottopagati.
I dati dell’Eurostat riferiti al mese di dicembre 2012 mostrano come la Germania sia effettivamente il Paese occidentale con la percentuale maggiore di lavoratori a basso salario (22,2%), a fronte di una media dell’Eurozona pari al 14,8%. Non solo. Secondo uno studio Visa, in collaborazione con l’università di Linz, la Germania sarebbe campione del lavoro nero in Europa, altro che rigore. Prima in Europa per economia sommersa con 8 milioni di lavoratori in nero che valgono circa 350 miliardi di euro.
I punti deboli del welfare tedesco
La Merkel è davvero la regina di una Germania senza macchia? Forse no, le fratture ci sono. Ecco i punti deboli welfare tedesco:
- come scrive Bloomberg in Germania sta prendendo piede una triste abitudine, quella di “esportare” i nonni in Paesi come la Polonia, la Slovacchia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca a causa dell’impossibilità economica di assisterli. Il problema della povertà nella fascia più anziana della popolazione, associata ad un calo di mano d’opera qualificata nelle case di riposo, è una vera emergenza in Germania e causa questo esodo di anziani verso l’Est. Se consideriamo che la Germania ha una popolazione con il più veloce ritmo di invecchiamento del mondo capiamo l’entità del problema e i numeri di questa “deportazione disumana” come l’hanno definita, forse in toni troppi crudi, alcune organizzazioni. I costi dell’assistenza domiciliare, tra i 2.900 euro e i 3.400 euro, e le pensioni misere acuiscono questa “bomba ad orologeria”;
- Adam Posen, ex membro del comitato di politica monetaria della Bank of England, in un articolo sul Financial Times ha invece accusato la Germania di dumping salariale: è diventata più competitiva abbassando i salari, che, come abbiamo già spiegato, risultano tra i più bassi d’Europa. Secondo le statistiche i salari medi sono scesi dell’1,8% dal 2000 al 2012;
- il tasso di disoccupazione tedesco è tra i più bassi d’Europa (circa 6,8%), ma i mini job, lavori da 450 euro al mese circa, introdotti proprio dalla riforma Hartz, interessano almeno 8 milioni di persone e sono accusati di favorire precariato e flessibilità, nonché il fenomeno di dumping salariale, spingendo al ribasso anche i salari degli altri lavori;
- in Germania si investe poco in ricerca e sviluppo.
Senza contare che a questo quadro si aggiungono importanti “fratture finanziarie”:
- la Germania ha un’economia che basa la crescita sull’export (al pari della Cina) piuttosto che sui consumi interni;
- ciò è possibile anche grazie ad una svalutazione competitiva rispetto agli altri Paesi dell’area euro, ottenuta generando una minore inflazione;
- in caso di uscita dall’euro, il marco si rivaluterebbe, al contrario di quanto accadrebbe in Italia, Spagna, Grecia e altri Paesi dell’area, dove le valute precedenti si svaluterebbero;
- è diventata più competitiva in una fase di espansione generale, sforando i parametri di Maastricht, ma senza pagare sanzioni;
- le banche tedesche, investendo parte del surplus commerciale su titoli subprime statunitensi, sono state colpite in maniera molto forte dalla crisi economica scoppiata dopo il fallimento di Lehman Brothers ed alcune di esse sono state salvate solo grazie al capitale pubblico (si stima un impegno di oltre 500 miliardi di euro).
Considerazioni
Uno studio dell’economista tedesco Sebastian Dullien dell’European council on foreing relations sintetizza così la questione:
“Il successo della Germania - grande avanzo delle partite correnti, basso tasso di disoccupazione e crescita economica accettabile - è il prodotto di una combinazione di moderazione salariale nominale, sostenuto da riforme del mercato del lavoro che hanno portato giù il salario di riserva (livello minimo salariale al di sotto del quale un individuo accetta di non lavorare) e hanno messo al ribasso pressione sui salari, e gravi restrizioni della spesa pubblica su investimento nonché sulla ricerca e sviluppo e educazione. Nel complesso, questo non può servire da modello per Europa. Alcuni degli elementi del modello tedesco hanno esternalità negative sui partner della Germania in Europa; altri deprimono la crescita economica nel Paese”.
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