9 trilioni di dollari di beni sono in mano ai vari Stati. La privatizzazione potrebbe risolvere molti problemi, uno su tutti: il debito pubblico
L’autorevole settimanale internazionale invita gli Stati dell’OCSE, Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo, ad attuare un serio programma di privatizzazioni per risanare parte del loro esponenziale debito pubblico e rimettere i conti in pari.
È questa la teoria dell’Economist che si concentra sulle principali economie occidentali e industrializzate, esortandole a mettere in vendita ben 9 trilioni di dollari di assets, da aziende a terreni, dagli edifici ai “gioielli di famiglia”.
L’Italia dal canto suo ha iniziato questo cammino, tuttavia, secondo il giornale, lo ha fatto in modo troppo “timido” nonostante possieda beni di valore inestimabile.
Ma vediamo qual è il parere della testata britannica
Beni in vendita
Dal 1980 a oggi, spiega l’Economist, i principali Stati OCSE, hanno venduto un gran numero di beni:
ma questa attività nei Paesi OCSE ha subito una brusca frenata dall’inizio della crisi finanziaria. Anzi, si è proprio verificato il contrario. I bail-outs di banche e società in fallimento hanno contribuito a un drammatico incremento degli acquisti da parte dello Stato di capitali societari nel corso degli ultimi cinque anni. Un’altra persistente indicazione è rappresentata dall’espansione del capitalismo statale praticata dalla Cina e dagli altri poteri economici emergenti. I Governi hanno comprato più beni di quanti ne abbiano venduti dal 2007 a oggi, sebbene le vendite abbiano superato gli acquisti nel 2013.
Oggi infatti il cammino delle privatizzazioni sembra essere ricominciato: in Cina per esempio sono stati venduti interessi minori nel settore bancario, ingegneristico, energetico e nelle telecomunicazioni. Il Brasile sta facendo lo stesso, ma al contrario, i Paesi più sviluppati hanno attuato una pratica inversa. E, secondo il settimanale, “non dovrebbe essere così”.
I Governi delle Nazioni dell’OCSE possiedono ancora una vasta gamma di beni, da banche a edifici, terreni e ricchezze nel sottosuolo. La vendita di qualcuna di queste proprietà potrebbe avere effetti sorprendenti: ridurre il debito, finanziare le infrastrutture, supportare l’efficienza economica. Ma i Governi spesso non comprendono neanche il valore delle cose che tengono sotto chiave.
Lo scopo delle privatizzazioni
I beni posseduti dalle Nazioni più sviluppate equivalgono complessivamente a 9 trilioni di dollari, una cifra che potrebbe essere utilizzata per risolvere molti problemi: in primis l’enorme ammontare del debito pubblico che opprime i principali Stati internazionali.
Quello dell’Economist non è un invito a svendere monumenti, chiese o aziende portatrici di profitto, bensì a disfarsi di società e assets che potrebbero essere gestiti meglio da privati, dando anche una grossa mano all’impresa privata che, grazie a questi beni, potrebbe riprendersi, assumere nuovi dipendenti, essere più competitiva e svolgere un servizio migliore nei confronti dei consumatori.
Il caso Italiano
Secondo il settimanale l’Italia (con il duo debito pubblico pari al 132% del PIL) dovrebbe mettere in atto un programma di privatizzazioni più “aggressivo”. Quello in atto infatti, viene giudicato piuttosto “timido” e insufficiente per risolvere i problemi di lunga data che affliggono il Paese. Questo nonostante:
la Nazione abbia in proporzione più cose da vendere della maggioranza dei paesi ricchi, con beni societari per un valore di forse 225 miliardi di dollari e beni non finanziari di qualcosa come un trilione e 600 milioni di dollari.
Non si chiede di privatizzare qualsiasi cosa:
Alcuni edifici pubblici rimarranno sempre off-limits: nessuna crisi sarà mai abbastanza grave per giustificare la vendita del Partenone,
Ma incrementare le privatizzazioni potrebbe essere una soluzione per superare questi tempi difficili.
© RIPRODUZIONE RISERVATA