L’andamento delle vendite al dettaglio italiane a novembre ha battuto le stime degli analisti. Si tratta, rileva l’ufficio studi di Confcommercio, di un dato legato a un effetto sostituzione e anticipazione degli acquisti.
Indicazioni migliori delle stime quelle arrivate oggi dall’indice che misura l’andamento delle vendite al dettaglio.
A novembre l’indice che tasta il polso ai consumatori italiani ha messo a segno un rialzo mensile dello 0,7% (qui la notizia), battendo le stime degli analisti, orientati per un incremento decisamente minore (+0,2%).
“La crescita delle vendite al dettaglio in novembre è un segnale positivo che contribuisce a ridurre la probabilità di osservare, a consuntivo, un quarto trimestre 2018 con PIL ancora in riduzione“, si legge in una nota elaborata dall’Ufficio Studi di Confcommercio.
Effetto sostituzione e anticipazione degli acquisti
Tuttavia, riporta il comunicato, “sono molti e coerenti gli indizi che fanno pensare a una variazione mensile indotta più da un effetto di sostituzione e anticipazione di acquisti rispetto a dicembre e gennaio piuttosto che a un fenomeno di spesa aggiuntiva”.
L’incremento dello shopping si è concentrato su elettromestici, telefonia, informatica, calzature e altri beni durevoli e semidurevoli di importo unitario medio/ elevato, la cui movimentazione è stata condizionata dal cosiddetto Black Friday.
Il “venerdì nero” rileva Confcommercio “da fenomeno limitato nel tempo e al solo canale on line, sta ormai coinvolgendo tutte le formule distributive per periodi anche superiori alla settimana”.
Anche perché la crescita delle vendite si è concentrata nelle superfici specializzate e on line, a scapito delle imprese operanti su piccole superfici.
Confcommercio: non cambiano le stime sul 2019
“In sostanza - conclude l’Ufficio Studi - la crescita della domanda di novembre potrebbe rappresentare un’accentuazione di un fenomeno, già visibile negli anni più recenti, di spostamento della stagionalità degli acquisti a novembre rispetto al bimestre successivo”.
Questo, in termini macroeconomici, “non comporta una revisione delle deboli prospettive dell’economia italiana, tanto per la fine dello scorso anno quanto per il 2019”.
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