Per trent’anni è stata la scommessa perdente per eccellenza. Oggi, tra rendimenti in rialzo e partecipazione estera, il mercato dei JGB potrebbe affrontare una nuova tempesta.
Per oltre tre decenni, shortare i titoli di Stato giapponesi a lungo termine è stato considerato un biglietto di sola andata verso perdite finanziarie e disastri professionali. La strategia, nota con il soprannome di “widow-maker”, si basava su una logica apparentemente inattaccabile: il debito pubblico del Giappone cresceva in rapporto al PIL senza sosta, mentre l’economia rimaneva stagnante e i disavanzi fiscali continuavano a dilatarsi. Molti gestori internazionali hanno visto in questa situazione un’opportunità per scommettere contro i titoli di Stato, ma il risultato è stato quasi sempre lo stesso: perdite ingenti e carriere interrotte.
Negli ultimi cinque anni lo scenario ha cominciato a cambiare. I JGB a lunga e soprattutto a lunghissima scadenza hanno registrato un andamento debole, con perdite consistenti per i detentori a partire dal 2020. Chi ha mantenuto posizioni corte sulle scadenze ultralunghe ha finalmente visto realizzarsi la promessa che per decenni era rimasta una chimera. L’analisi di Barclays ha aperto un dibattito interessante: il Giappone potrebbe essere esposto a una crisi “alla gilts”, simile a quella vissuta dal Regno Unito durante il breve mandato di Liz Truss?
Le differenze con il caso britannico sono significative. Il Giappone detiene una robusta posizione netta d’investimento internazionale pari a circa l’84 per cento del PIL, presenta un avanzo delle partite correnti stabile tra il 3 e il 5 per cento e non mostra vulnerabilità legate a strutture finanziarie altamente indebitate come quelle che hanno amplificato la crisi LDI nel Regno Unito. Tuttavia, secondo Barclays, esistono elementi che meritano attenzione. [...]
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