Il rischio “bolla finanziaria”non è a Wall Street ma nei bond

Nicola D’Antuono

29 Aprile 2014 - 07:29

A Wall Street le valutazioni dei titoli sono molto elevate, ma la vera bolla finanziaria forse non è in borsa ma nei bond

Il rischio “bolla finanziaria”non è a Wall Street ma nei bond

A Wall Street alcuni specialisti dei mercati finanziari (economisti, analisti e guru vari) iniziano a temere lo scoppio di una bolla sull’azionario americano, dopo che dai bottom di marzo 2009 è avvenuto un rialzo stratosferico delle quotazioni. Se si considera l’indice azionario principale S&P500, dai minimi di area 666 (un numero che fa scomodare i più accaniti sostenitori della cabala) si è passati quasi a 1.900 punti in poco più di 5 anni. Si tratta di una performance che sfiora il 185%. Niente male, se si pensa che i mercati finanziari globali erano usciti con le ossa rotte dalla gravissima crisi finanziaria del 2008. Ma parlare di bolla azionaria è forse troppo, soprattutto se si fa un paragone con la follia del 2000. Allora scoppiò la bolla sui titoli del Nasdaq, ma il rapporto prezzo/utili erano schizzato sopra 1.000! Oggi questo rapporto è elevato, ma comunque a 80 circa.

Il rapporto p/e dell’indice S&P500 è a 17: un ratio elevato, certo, anche del 20% in più rispetto alla media storica, ma non sui livelli tradizionali di una bolla finanziaria. Il mercato azionario americano è sicuramente sopravvalutato, ma ciò non vuol dire che sia prossimo a un crollo come nel 2000 o nel 2008 (magari lo farà, ma potrebbe essere una forte correzione fisiologica dopo anni di rialzi incontrastati). Più che le azioni, in odore di bolla speculativa sembrano esserci i bond. Le politiche ultra-espansive delle banche centrali implementate negli ultimi anni, con immissioni di liquidità su livelli record e tassi schiacciati a zero un po’ dappertutto, hanno creato pericolose anomalie sul mercato obbligazionario, sia quello dei titoli pubblici sia dei titoli di società private.

Dopo il “whatever it takes” di Mario Draghi di fine luglio 2012, è iniziata una folle corsa all’acquisto di bond europei grazie agli elevati rendimenti offerti rispetto alla media di mercato. Così i titoli di stato greci, che meno di due anni fa erano stati svalutati quasi del tutto dopo la maxi-ristrutturazione del debito, venivano acquistati a mani basse da fondi speculativi e altri big della finanza globale grazie alla protezione offerta da Draghi. Durante questo periodo il loro valore è cresciuto del 400%. La ricerca di alti ritorni ha spinto il rendimento dei bond governativi portoghesi con scadenza a dieci anni sotto il 3,7%, il minimo dal 2006, quando invece al culmine della crisi i tassi erano quasi al 15%. Eppure i problemi economici di molti paesi europei, in particolare i più deboli (PIGS), appaiono tutt’altro che risolti.

E che dire di Italia e Spagna, che presentano rendimenti sulla scadenza quinquennale praticamente allo stesso livello degli Stati Uniti. E’ come se i gravi problemi economici e finanziari di questi paesi fossero spariti magicamente. Ma sappiamo benissimo che non è così (soprattutto noi italiani, ndr). Qui davvero si può parlare di rischio bolla speculativa, soprattutto se dovesse incrinarsi bruscamente il rapporto di fiducia tra gli investitori internazionali e i policy makers europei. La potenziale bolla sui bond non rischia di esplodere solo in Europa ma a livello globale. Oggi i junk bond rendono in media solo il 3,7% in più rispetto ai T-Bond Usa. Il differenziale è ai minimi da ottobre 2007, ma è sui bottom di sempre in termini di rendimento assoluto. Forse il rischio bolla davvero non è a Wall Street, ma nell’immenso mercato obbligazionario mondiale.

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