Quando Di Maio diceva: “Se cambi partito ti dimetti, torni a casa e ti fai rieleggere”

Alessandro Cipolla

22/06/2022

23/06/2022 - 09:09

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Luigi Di Maio ha lasciato il Movimento 5 Stelle dando vita al gruppo Insieme per il Futuro, ma nel 2017 tuonava contro i parlamentari che in Italia “una volta che sono in Parlamento gli elettori non contano più nulla; quello che conta è la poltrona, il mega-stipendio e il desiderio di potere”.

Quando Di Maio diceva: “Se cambi partito ti dimetti, torni a casa e ti fai rieleggere”

A nessuno è negato il diritto di cambiare idea, ma se lo fai torni a casa e ti fai rieleggere”. Musica e parole di Luigi Di Maio datate 2017, quando il ministro tuonava contro “i voltagabbana del Parlamento” parlando di “mercato delle vacche che va fermato”.

Parole queste che stridono con la decisione presa nella giornata di ieri da Di Maio, insieme ad altri 60 parlamentari pentastellati, di uscire dal Movimento 5 Stelle senza però “tornare a casa” come auspicato cinque anni fa.

Gli scissionisti dimaiani infatti hanno dato vita alla Camera al nuovo gruppo Insieme per il Futuro, con l’ex capo politico dei 5 Stelle che ha subito definito il perimetro del nuovo movimento: “Non saremo populisti nè sovranisti, saremo draghiani”.

Peccato però che nel 2017 Luigi Di Maio la pensava in maniera ben diversa sui cambi di casacca, con la recente “maturazione” politica del ministro evocata dai principali giornali che dovrebbe aver portato a un cambio di idea sui parlamentari che cambiano partito senza dimettersi.

Di Maio e i “voltagabbana del Parlamento”

Nel 2017 molto fece discutere la decisione dei grillini di inserire, nel loro codice etico, una multa da 150.000 euro “da pagare al Movimento 5 Stelle in caso di espulsione, abbandono o iscrizione ad altro gruppo per chi è eletto nelle file del M5s”.

Una misura questa fortemente difesa dall’allora capo politico pentastellato Luigi Di Maio, che già nei mesi precedenti aveva tuonato contro chi cambiava casacca senza però lasciare il proprio scranno in Parlamento.

Il modello che era invocato da Di Maio era quello della “civilissima Gran Bretagna” e soprattutto quello del Portogallo, dove “perdono il mandato i deputati che si iscrivono a un partito diverso da quello con cui sono stati eletti”.

In Italia invece se ne fregano, una volta che sono in Parlamento gli elettori non contano più nulla - attaccava Di Maio all’epoca in un video del M5s - Quello che conta è la poltrona, il mega-stipendio e il desiderio di potere ”.

Poi ancora “molti dei governi si sono tenuti in piedi, si sono fatti approvare le peggiori porcate proprio grazie ai voltagabbana, da Monti a Letta a Renzi e Gentiloni, le leggi più vergognose della storia della Repubblica si sono votate grazie ai traditori del mandato elettorale”.

Per descrivere al meglio quella che è stata la vicenda dell’addio di Luigi Di Maio al Movimento 5 Stelle, si possono prendere in prestito le parole twittate dal giornalista Fabio Chiusi: “La politica italiana ha raggiunto un livello di tolleranza per incoerenza e contraddizione tale che segnalare incoerenze e contraddizioni non vale più nulla. E come si tiene a bada un potere sciolto da ogni incoerenza, ogni contraddizione?”.

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