Detenzioni in cripto fino al 20% per fondi istituzionali tedeschi: prove di addio euro?

Mauro Bottarelli

30 Luglio 2021 - 14:30

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Dopo il rimpatrio anticipato dell’oro detenuto all’estero, Berlino apre agli investimenti in Bitcoin per fondi pensione e assicurazioni. Nonostante la volatilità. La sfiducia nella Bce è al massimo

Detenzioni in cripto fino al 20% per fondi istituzionali tedeschi: prove di addio euro?

Con tutto il rispetto per Sua Maestà, quanto accaduto equivale alla decisione della Regina Elisabetta di farsi un piercing. E, soprattutto, mostra plasticamente il livello ormai esiziale di sfiducia della Bundesbank nella politica monetaria della Bce. A partire da lunedì prossimo, in Germania infatti i cosiddetti Spezialfonds, fondi istituzionali che operano in base alla regolamentazione del reddito fisso, potranno destinare fino al 20% delle loro detenzioni alle criptovalute. Boom.

E al netto del controvalore di quella tipologia di fondi, qualcosa come 1,8 trilioni di euro, è il tipo di investitori che vi opera a fare sensazione, quantomeno al netto della volatilità mostrata da Bitcoin e soci: assicurazioni e fondi pensione. Ancora una volta, ha nevicato all’inferno. A detta di Tim Kreutzmann, esperto di criptovalute presso la BVI, l’associazione di categoria del comparto fondi di investimento, molti soggetti inizialmente resteranno ben al di sotto della quota massima del 20%. Da un lato, gli investitori istituzionali come le compagnie assicurative hanno requisiti regolatori molto stringenti rispetto alle loro strategie di investimento, dall’altro però se si è arrivati a una decisione simile è perché la volontà di diversificare in criptovalute esiste.

Del medesimo parare anche Kamil Kaczmarski, adviser finanziario alla Oliver Wyman LLC, a detta del quale la volatilità di quel tipo di assets risulta ben poco attrattiva per un investitore tradizionalmente molto conservatore come quello tedesco . Mi aspetto che questo tipo di esperimento rimanga su livelli molto bassi, tali da non avvicinarsi nemmeno alla soglia massima almeno per i primi cinque anni. Dal canto suo, DWS, il gruppo di asset management di Deutsche Bank, si è limitato a confermare la propria attività di monitoraggio degli sviluppi, negando però la volontà di investimento diretto dei propri fondi nelle criptovalute, quantomeno al momento. Mentre DekaBank, uno dei più grandi asset manager del Paese, sta considerando di entrare nel business delle valute digitali ma, stando a quanto confermato a Bloomberg, nessuna decisione ufficiale in merito è stata ancora presa.

Comunque sia, una rivoluzione copernicana. Non a caso, passata sotto silenzio, come conviene a tutte le notizie talmente esplosive da necessitare un trattamento preventivo prima di essere rese note al grande pubblico. Sugar-coating, direbbero gli anglosassoni. Ricoprire con lo zucchero la proverbiale pillola di Mary Poppins, tanto per mandarla giù meglio. Perché quanto deciso appare un atto di rottura politica, prima che una scelta meramente regolamentare. Partiamo da questi tre grafici,

Spezial1

Fonte: Bloomberg

Spezial2

Fonte: Barkow Consulting/Bundesbank

Spezial3

Fonte: Barkow Consulting/Bundesbank
in grado di smentire clamorosamente la previsione di Kamil Kaczmarski. Certo, storicamente l’investitore tedesco è prevedibile e cautelativo quanto l’arrivo dei saldi dopo Natale ma il secondo e terzo grafico della Barkow Consulting parlano chiaro: il delirio da rialzo azionario strutturale dovuto al Qe perenne ha contagiato e non poco anche la clientela teutonica, la quale nell’arco del solo 2020 è passata da una prima allocazione record in equity del 23,9% del primo semestre all’ulteriore primato del 33% di fine anno.

Alla faccia della cautela, quantomeno basandosi sui fondamentali. Ma sono questi altri tre grafici

Spezial4

Fonte: Bloomberg

Spezial5

Fonte: Bloomberg

Spezial6

Fonte: Bloomberg
a mostrare il risvolto sistemico della decisione: nel giorno in cui il Pil tedesco segnava nel secondo trimestre un +1,5% contro le attese del +2%, sintomo di un’incidenza decisamente pesante dei colli di bottiglia nella supply chain industriale, ecco che il dato dell’inflazione di luglio parlava di un +3,8% contro le attese del +3,2%, la lettura più alta dal boom inflazionistico post-riunificazione nel 1993. E non basta, perché il secondo grafico appare ancora più chiaro: la legacy della Bundesbank pare decisamente a rischio a livello di peso nelle decisioni della Bce, poiché l’ultima volta in cui il Cpi tedesco aveva raggiunto questo livello, il tasso di interesse era al 6%. Oggi è a 0%. E destinato a restarci per l’eternità.

Non a caso, l’ultima immagine sintetizza il quadro: la cosiddetta repressione finanziaria dell’Eurotower ha raggiunto un punto tale da aver fatto segnare al rendimento reale del decennale tedesco il 63mo mese di fila in territorio negativo, oggi addirittura al livello record assoluto del -4,25%, stante proprio il balzo dell’inflazione rispetto allo yield nominale. Non rappresentasse un atto di quasi blasfemia iconoclasta, verrebbe da dire che la Bundesbank - dopo aver votato contro la nuova forward guidance sui tassi decisa dal noard Bce - stia preparandosi a un mondo post-euro. O, quantomeno, post-Pepp perenne. Permettere a fondi pensione e assicurazioni di arrivare fino a un 20% di detenzioni in criptovalute, infatti, appare un atto degno della spericolatezza di Elon Musk o di Cathie Wood e non della Banca centrale più conservativa e rigorista dell’eurozona.

Ma forse, la sintesi migliore di quanto scritto finora la offre questo grafico:

Spezial7

Fonte: Bloomberg/Zerohedge
se dopo aver rimpatriato tutto l’oro fisico detenuto all’estero con quattro anni di anticipo sul previsto, oggi la Bundesbank di fatto benedice tacitamente l’investimento istituzionale in una valuta che ha come prerogative riconosciute l’opposizione proprio di regolatori e Banche centrali e una volatilità spaventosa, significa implicitamente che l’alternativa establishment è ritenuta ben peggiore. E la strada segnata. L’euro sopravvissuto alla Grecia, perirà causa Covid?

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