Secondo Darwei Kung, Head of Commodities di DWS, ci sono diversi fattori che porterebbero ad un proseguimento della debolezza sulle quotazioni dell’oro nero
Il petrolio continua la sua discesa, tanto che anche questa settimana è partita sull’onda dei ribassi, con il WTI che inizia anche la corrente ottava sull’onda dei ribassi, perdendo l’1,10% rispetto alla chiusura di venerdì.
Le quotazioni si sono calmate dopo che nelle scorse sedute, in particolare dal 4 ottobre al 13 novembre l’oro nero ha subito un crollo verticale. Le vendite hanno portato i prezzi del greggio a nuovi minimi del 2018, segnati lo scorso 13 novembre, giorno in cui i prezzi hanno segnato il loro peggior crollo dal settembre 2015.
Secondo Darwei Kung, Head of Commodities di DWS, l’OPEC ha agito correttamente nel ridurre le giacenze mondiali di greggio, riportandole su livelli in linea con il dato medio su cinque anni.
In questo modo, l’organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio ha guadagnato della credibilità rispettando le quote di produzione dichiarate. Con il 2018 però tale regime si chiude.
L’autorevolezza guadagnata con la riduzione delle scorte però è stata minata da fattori quali l’incertezza sull’efficacia delle sanzioni americane all’Iran, l’aumento della produzione in Russia e in Arabia Saudita e la soluzione ai problemi produttivi in pareri come Libia e Nigeria.
Tutti questi elementi aumentano l’offerta di petrolio, accrescendo la quantità dei barili in circolazione e, di conseguenza, un abbassamento del prezzo.
In questo quadro “una debolezza temporanea in alcune grandi economie continua a preoccupare per un rallentamento maggiore, che ovviamente avrebbe importanti conseguenze sulla domanda di petrolio” sostiene l’esperto.
Ulteriori avvisaglie di un indebolimento nelle quotazioni derivano anche dalla differenza totale a sei mesi tra la domanda e l’offerta del greggio.
Un’altra considerazione può essere fatta sulle oscillazioni del prezzo del petrolio, come sostiene Kung: "l’aumento dei prezzi del greggio era considerato una minaccia per altre attività finanziarie. Il petrolio più costoso tende a far salire l’inflazione e può indurre le banche centrali a politiche monetarie più severe. Ora anche un calo del prezzo provoca preoccupazioni.”
I prezzi bassi del petrolio infatti mettono in difficoltà le imprese che operano nel settore dello shale oil.
Non solo: con le quotazioni in forte contrazione, le società avranno crescenti difficoltà a raggiungere il pareggio di bilancio. In particolare, le imprese statunitensi, fortemente indebitate, avrebbero maggiori possibilità di tagliare gli organici e fare ricorso al Chapter 11, la procedura concorsuale statunitense. Anche i Paesi fortemente dipendenti dall’oro nero vedrebbero complicarsi la loro situazione con un indebolimento dei corsi dalla materia prima.
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