Elezioni e referendum, cosa succede se non si va a votare? Facciamo chiarezza.
Cosa rischia chi non vota al referendum? In vista del referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno 2025, circolano ancora molte false convinzioni sul tema dell’astensione.
Una delle più diffuse è che, se non si va a votare troppe volte (5, 10 o più tornate elettorali), si rischino sanzioni come il ritiro della tessera elettorale o addirittura la perdita del diritto di voto.
Proprio per timore di queste conseguenze - che, come vedremo, sono infondate - molte persone si recano alle urne più per obbligo che per reale convinzione. Capita poi che, non sapendo chi o cosa votare, si scelga di lasciare la scheda bianca o di annullarla.
Ma è importante chiarire un punto fondamentale: in Italia non è previsto alcun obbligo di voto, né alcuna sanzione per chi decide liberamente di non recarsi alle urne, neppure se lo fa in modo reiterato. Questa regola vale per ogni tipo di votazione: politiche, europee, amministrative e referendarie.
Nel caso dei referendum abrogativi, come quelli che si tengono oggi e domani, però c’è una differenza sostanziale rispetto alle altre consultazioni: affinché l’esito sia valido, deve votare almeno il 50% + 1 degli aventi diritto. In caso contrario, tutti i quesiti saranno annullati, a prescindere da come hanno votato coloro che si sono presentati.
Questo non significa che chi non vota favorisca automaticamente una parte o l’altra, ma è innegabile che l’astensione sia una forma indiretta di “non scelta” che può determinare il fallimento della consultazione stessa.
Detto ciò, è bene ricordare che esistono casi specifici in cui il diritto di voto può essere revocato, ma riguardano situazioni gravi, come interdizioni o condanne penali definitive. L’astensione, anche prolungata, non rientra tra queste cause.
Alla luce di ciò, andare a votare è una facoltà, non un obbligo, ma rappresenta un’occasione importante per partecipare attivamente alla vita democratica del Paese. E se si decide di farlo, è fondamentale arrivare preparati: nel nostro approfondimento spieghiamo nel dettaglio come funzionano i referendum abrogativi, cosa prevedono i quesiti in votazione e quali sono le reali conseguenze del non voto.
Il diritto di voto secondo la Costituzione
I cittadini italiani dopo il compimento del 18° anno di età possono votare alle elezioni amministrative, politiche e ai referendum muniti di tessera elettorale e documento di identità valido. A 18 anni si può votare anche per l’elezione della Camera dei Deputati e, ma solo da qualche anno, del Senato (dove prima era richiesto un limite di età di 25 anni).
Il diritto di voto è previsto dall’articolo 48 della Costituzione:
“Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicura l’effettività. A tale fine è istituita una circoscrizione Estero per l’elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge.”
Questo diritto non si perde neppure dopo anni di astensionismo, in quanto la Costituzione prevede anche che:
“Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi d’indegnità morale indicati dalla legge.”
Salvo i casi appena indicati, quindi, il diritto di voto si mantiene anche se non lo si esprime per diversi anni.
Chi non vota: significato e conseguenze politiche dell’astensionismo
Dunque non c’è alcuna conseguenza giuridica per chi non vota: non ci sono multe o sanzioni, e non si perde il diritto che si acquisisce automaticamente al compimento dei 18 anni (a meno che appunto non si commettano alcuni reati gravi o gravissimi).
E chi non vota non ha alcuna limitazione nei concorsi pubblici.
Tuttavia se un gran numero di persone rinuncia al voto vi possono essere delle conseguenze sul piano politico-istituzionale. Innanzitutto rinunciare a votare significa in molti casi disaffezione e disinteresse nei confronti della politica e della vita del Paese. Spesso chi non vota lo fa per protestare contro la corruzione o l’immobilità della classe politica oppure nella convinzione che andare a votare non cambia le cose.
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Che succede se non voto a un referendum
C’è un’occasione, però, in cui anche non votando si incide sul risultato finale: ci riferiamo al referendum abrogativo, per il quale l’esito del voto viene considerato valido solamente al raggiungimento di un determinato quorum, ossia qualora alle urne si sia recato almeno il 50% (+1) degli aventi diritto.
Chi non vota al referendum abrogativo, dunque, rischia di contribuire al fallimento dello stesso. Di fatto, in questo caso anche astenendosi si sta esprimendo una propria preferenza.
Ricordiamo, invece, che il quorum non è richiesto nel referendum di tipo costituzionale.
Il diritto di voto nel passato
Ma da dove nasce la credenza secondo cui chi non vota rischia di perdere più di un diritto? Va detto che le cose non sono andate sempre come oggi, in quanto in passato chi non votava rischiava diverse conseguenze, talvolta anche gravi.
Ad esempio nel 1957 votare era un obbligo a cui nessun cittadino poteva sottrarsi secondo il Testo Unico delle Leggi sulle elezioni. Per spiegare meglio la situazione basti sapere che l’art. 115 recitava:
“L’elettore che non abbia esercitato il diritto di voto, deve darne giustificazione al sindaco. L’elenco di coloro che si astengono dal voto senza giustificato motivo è esposto per la durata di un mese nell’albo comunale. Per il periodo di cinque anni la menzione ’non ha votato’ è iscritta nei certificati di buona condotta”.
La norma è stata abrogata nel 1993; da più di 20 anni la situazione è cambiata radicalmente dal momento che per chi non vota non sono previste sanzioni o conseguenze. Spetta all’elettore decidere se e cosa votare e nessuna Istituzione può interferire con il libero arbitrio.
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