Liberi anche i quattro ministri che si trovano a Bruxelles: Antoni Comín (Salute), Clara Ponsatí (Istruzione), Lluís Puig (Cultura) e Meritxell Serret (Agricoltura). A Madrid oltre a Jordi Sánchez e Jordi Cuixart sono in carcere gli altre sette ministri. L’Appello alla Ue su iniziativa di Albena Azmanova e Barbara Spinelli.
Dopo una lunga giornata trascorsa in Procura è arrivata la notizia che il presidente destituito della Generalitat della Catalogna Carles Puigdemont domenica sera ha lasciato la Procura di Bruxelles. In un messaggio su Twitter ha dichiarato:
Libero e senza cauzione. Il nostro pensiero va ai colleghi ingiustamente incarcerati da uno Stato lontano dalla pratica democratica.
En llibertat i sense fiança. El nostre pensament és per als companys injustament empresonats per un Estat allunyat d la pràctica democràtica
— Carles Puigdemont 🎗 (@KRLS) 6 novembre 2017
La procedura per il mandato di arresto europeo e la richiesta di estradizione continuerà presso la Camera di consiglio del Tribunale di primo grado di Bruxelles, che dovrà decidere entro 15 giorni se il mandato europeo emesso dalla Spagna può essere reso esecutivo. Il rilascio di Puigdemont e dei suoi quattro ministri è stato deciso con una serie di misure cautelari quali l’obbligo di restare in Belgio, ritiro del passaporto, essere sempre a disposizione del giudice e di comunicare il domicilio.
La procura di Bruxelles ha deciso che Carles Puigdemont e i suoi quattro ministri debbono stare in Belgio e in libertà vigilata. Potranno avere contatti con la stampa e svolgere attività politica. Non essendo "detenuti" la procedura cui sono sottoposti potrebbe durare anche più di 90 giorni se gli avvocati chiederanno una proroga per esaminare la richiesta dello Stato spagnolo.
Diversi media belgi hanno riportato che la prima udienza davanti alla Camera di consiglio del tribunale di primo grado belga si svolgerà il 17 novembre alle ore 14 e dovrà decidere sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo. Sulla vicenda la vicepremier spagnola Soraya Saenz de Santamaria ha affermato che il governo di Madrid rispetta le decisioni della giustizia belga su Puigdemont e gli altri 4 ex ministri.
Il ministro della giustizia spagnolo Rafael Català si è detto convinto che la richiesta di consegna dei “cinque” trasmessa alla giustizia belga si concluderà con "un risultato favorevole". C’è da pensare che per fare questa dichiarazione così mirata non sia molto informato sulle tensioni che il comportamento di Madrid ha fatto montare in questi giorni in Europa. Spero che legga l’appello che segue lanciato su iniziativa di Albena Azmanova (University of Kent) e Barbara Spinelli (scrittrice e membro del Parlamento europeo) che al momento ha avuto 174 firmatari.
Caro presidente Juncker, caro presidente Tusk,
siamo accademici, politici, intellettuali, eurodeputati, e ci rivolgiamo a Voi per esprimere le seguenti preoccupazioni:
L’Unione ha proclamato che lo stato di diritto e il rispetto dei diritti fondamentali sono vincolanti per gli Stati membri (articoli 2 e 6 del Trattato di Lisbona). La leadership UE è stata il custode di queste norme, da ultimo nel contrastare gli attacchi del governo polacco all’indipendenza dei giudici e le limitazioni delle libertà della società civile e dei media in Ungheria.Tuttavia, siamo profondamente preoccupati dal modo in cui le istituzioni UE stanno condonando la violazione dello stato di diritto in Spagna, in particolare per quanto riguarda l’atteggiamento delle autorità spagnole verso il referendum del 1 ottobre sull’indipendenza catalana. Non prendiamo posizione sulla sostanza della disputa concernente la sovranità territoriale, e siamo coscienti dei difetti procedurali nell’organizzazione del referendum. La nostra preoccupazione centrale riguarda l’applicazione dello stato di diritto in uno Stato membro dell’UE.
Il governo spagnolo ha giustificato le proprie azioni invocando la difesa o il ripristino dell’ordine costituzionale. L’Unione ha dichiarato che si tratta di affari interni alla Spagna. In effetti, nelle democrazie liberali le questioni di sovranità nazionale sono interne. Tuttavia, il modo in cui le autorità spagnole hanno trattato la domanda di indipendenza espressa da una parte significativa dei catalani costituisce una violazione dello stato di diritto, e precisamente:
1) Il Tribunale costituzionale spagnolo ha proibito il referendum sull’indipendenza indetto per il 1 ottobre, così come la sessione del Parlamento catalano programmata per il 9 ottobre, denunciando la violazione dell’articolo 2 della Costituzione che stabilisce l’unità indissolubile della nazione, e rendendo dunque illegale la secessione. Tuttavia, applicando in tal modo l’articolo 2, il Tribunale ha violato precise disposizioni costituzionali sulla libertà di riunione pacifica e di parola – i due principi incarnati dai referendum e dalle deliberazioni parlamentari, indipendentemente dalla materia su cui si esplicano. Senza interferire nelle controversie costituzionali in Spagna o nel suo codice penale, notiamo che applicare una disposizione costituzionale violando i diritti fondamentali è una caricatura della giustizia. Le sentenze del Tribunale, e le azioni governative alle quali queste sentenze hanno fornito una base legale, violano quindi sia lo spirito sia la lettera dello stato di diritto.
2) Nei giorni che hanno preceduto il referendum le autorità spagnole hanno attuato una serie di azioni repressive contro funzionari pubblici, parlamentari, sindaci, media, società e cittadini. L’oscuramento di Internet e altre reti di comunicazione durante e dopo la campagna referendaria hanno avuto conseguenze gravi sulla libera espressione.
3) Nel giorno del referendum, la polizia spagnola è ricorsa all’uso eccessivo della forza e della violenza contro votanti e dimostranti pacifici, secondo Human Rights Watch. Si tratta di un incontrovertibile abuso di poterenell’applicazione della legge.
4) L’arresto e l’incarcerazione il 16 ottobre di Jordi Cuixart e Jordi Sànchez (presidenti rispettivamente dell’Assemblea Nazionale Catalana e di Omnium Cultural) con l’accusa di sedizione è un esempio di mala giustizia. I fatti all’origine dell’incriminazione vanno qualificati non come sedizione, ma come libero esercizio del diritto di manifestazione pacifica, sancito nell’articolo 21 della Costituzione spagnola.
Il governo spagnolo, nello sforzo di salvaguardare la sovranità dello Stato e l’indivisibilità della nazione, ha violato diritti e libertà basilari, garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e dagli articoli 2 e 6 del Trattato di Lisbona. In nessun Paese membro la violazione dei diritti e delle libertà tutelati dalla legge internazionale ed europea può essere un affare interno. Il silenzio dell’UE e il suo rifiuto di mediazioni inventive è ingiustificabile.Le misure del governo spagnolo non possono giustificarsi come azioni volte a proteggere lo stato di diritto, anche se basate su specifiche disposizioni legali. Contrariamente al “governo per mezzo della legge” (rule-by-law), applicata in forza di norme emanate attraverso una corretta procedura legale o emesse da un’autorità pubblica, lo stato di diritto (rule of law) implica la contemporanea salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali – una legge è vincolante non semplicemente perché proceduralmente corretta, ma perché rappresenta al tempo stesso la giustizia. È quest’accezione di stato di diritto a conferire legittimità alle autorità pubbliche nelle democrazie liberali.
Chiediamo dunque alla Commissione di esaminare la situazione in Spagna nel quadro dello stato di diritto, come ha fatto per altri Stati membri.
La leadership UE ha ribadito che la violenza non può essere uno strumento in politica, eppure ha implicitamente condonato le azioni della polizia spagnola, considerando le azioni del governo di Madrid in linea con lo stato di diritto. Tale versione riduzionista e menomata dello stato di diritto non deve diventare il nuovo senso comune politico in Europa. È pericoloso e rischia di causare danni a lungo termine nell’Unione. Chiediamo perciò al Consiglio europeo e alla Commissione di fare il necessario per restaurare il principio dello stato di diritto quale fondamento della democrazia liberale in Europa, contrastando ogni forma di abuso di potere commesso dagli Stati membri. In assenza di ciò, e di seri sforzi di mediazione, l’UE rischia di perdere la fiducia dei suoi cittadini.Nel frattempo la crisi si è approfondita (il governo catalano in detenzione, un mandato di arresto spiccato nei confronti di Puigdemont). Seguiamo da vicino la situazione, avendo in mente gli inseparabili interessi della democrazia in Catalogna, in Spagna, in Europa, e insistiamo più che mai sull’importanza che l’UE eserciti vigilanza, affinché le libertà fondamentali siano rispettate da tutte le parti.
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