I diritti resteranno inalterati fino a marzo 2019? Intanto una falsa notizia di una possibile espulsione ha creato il panico tra gli europei che vivono nel Regno Unito.
Il ministro dell’Interno britannico ha ammesso che per errore sono stati inviati avvisi d’espulsione verso 100 cittadini dell’Unione europea. La notizia era stata pubblicata da alcuni giornali per una denuncia da parte di Johanna Holmberg, docente finlandese presso la Queen Mary University di Londra di storia moderna della Gran Bretagna, che aveva reso noto di aver ricevuto dall’Home Office un avviso che le dava un mese per lasciare il paese, diversamente sarebbe stata espulsa.
Tutto falso?
Pare di sì, e il ministero ha dovuto presentare le scuse: un portavoce ha ammesso che sono state mandate 100 lettere del genere ed ha dichiarato:
“Stiamo contattando tutti coloro che hanno ricevuto la lettera per chiarire che possono ignorarla. Noi vogliamo essere assolutamente chiari che i diritti dei cittadini Ue che vivono nel Regno unito restano immutati”.
Ok. Ma fino a marzo 2019, quando si chiuderanno i negoziati Brexit?
Luci ed ombre. Al momento si colgono tensioni varie e quello descritto è un episodio non bello che rischia di crearne di più, con ulteriori preoccupazioni su uno dei temi principali del negoziato tra Londra e Bruxelles.
“Le tensioni sono forti: sono trentatremila i cittadini Ue che hanno lasciato il Regno Unito dopo il referendum sulla Brexit del giugno 2016 e questo segna il più grande deflusso da circa 10 anni. I dati sono stati pubblicati dall’Ufficio nazionale di statistica (Ons). Si è avuto quindi un calo del tasso netto di migrazione nel Regno Unito - differenza tra immigrati ed emigrati - che è giunto ai minimi negli ultimi tre anni. La migrazione netta sarebbe scesa di 246.000 unità nel periodo aprile 2016-marzo 2017, 81.000 in meno rispetto ai 12 mesi precedenti.
Oltre la metà del calo, spiega l’Ons, è’ dovuta all’aumento del numero di cittadini Ue che hanno abbandonato il Paese: dei 33.000 che hanno lasciato il Regno Unito, 17.000 provenivano da Paesi entrati nell’Ue nel 2004, come Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia e Slovenia.”
Intanto si è avuta notizia che un portavoce della Commissione Ue in riferimento all’annuncio di una nuova serie di documenti in arrivo sulla posizione britannica in diversi settori, tra cui la Corte di giustizia Ue, i servizi e lo scambio di informazioni è stato dichiarato:
“Accogliamo con favore il fatto che ci siano nuovi papers in uscita, è un passo positivo per iniziare davvero il processo negoziale sulla Brexit ma di per sé la situazione non è cambiata. Servono progressi sufficienti nelle tre aree chiave dei diritti dei cittadini, conto da saldare e Irlanda prima di andare avanti per discutere della futura relazione tra Ue e Gran Bretagna. L’importante è realizzare che l’orologio vada avanti e che non c’è tempo da perdere, la nostra squadra è pronta e lo è da tutto agosto.”
Un nuovo round di negoziati è previsto per la prossima settimana ma al momento date e agenda non sono stati ancora resi pubblici.
Alle tensioni che si colgono per la Brexit e sul Regno Unito c’è l’economia che si sta preparando per la Brexit. Al riguardo un comunicato Ansa del 10 agosto informa che il Pil dovrebbe registrare una crescita dello 0,2% nel trimestre terminato a luglio. Si tratta di una stima dell’Istituto Nazionale di Ricerca Economica e Sociale (Niesr) che vede un’economia per il Regno Unito che continua a crescere sotto il trend di lungo periodo dello 0,6%. Certo si tratta di una stima e di una ripresa alquanto modesta almeno per il secondo semestre dell’anno. Il Niers mette in evidenza sia la debolezza della sterlina come è noto e sia il possibile rallentamento dei consumi proprio in relazione alla debole crescita dei salari. Appare chiaro che gli investimenti potrebbero essere frenati proprio dall’incertezza per la Brexit.
In finale informo che il Regno Unito ha smentito che sarebbe disponibile a pagare fino a 40 miliardi di euro all’Unione europea per saldare il conto della Brexit a patto che si accetti di negoziare l’accordo economico nel contesto di un’intesa sulle relazioni future che comprenda anche un accordo sul commercio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA