Aprire una nuova impresa in Italia? Quasi impossibile: ecco perché

Daniele Sforza

22/01/2013

Aprire una nuova impresa in Italia? Quasi impossibile: ecco perché

Volete aprire un’impresa in Italia? Meglio che andiate nello Zambia: sarà molto più semplice. Da un’interessante analisi a cura di Paolo Cardenà di qualche mese fa, ripresa, tra gli altri, da Wall Street Italia, infatti, si nota come avviare una nuova iniziativa imprenditoriale nel nostro Paese significa solo guai. Analizzando un recente rapporto diffuso dalla Banca Mondiale, infatti, si rende noto come sia molto più facile aprire un’attività imprenditoriale nello Zambia piuttosto che in Italia. Paradossale? No, se si analizza bene la situazione.

Pressione fiscale e burocrazia i veri problemi per le nuove aziende

Secondo tale rapporto, l’Italia ha un coefficiente bassissimo per ciò che concerne l’accesso al credito, il pagamento delle tasse e la tutela dei contratti. Ma anche se si vuole aprire un’attività, l’Italia sfigura vista la sua 84esima posizione. Sotto le prime della classe, come Singapore, Hong Kong, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Danimarca, Norvegia, Regno Unito, Corea del Sud, Georgia, Finlandia, Australia, Malesia, Svezia, Irlanda e Islanda e, per l’appunto, sotto perfino lo Zambia.

Naturalmente le difficoltà aumentato quando, qualora si sia riusciti ad avviare un’iniziativa imprenditoriale, occorra mantenerla e farla proseguire negli anni. Ai costi amministrativi per cominciare la fase di start up, si aggiungono numerosi cavilli burocratici che impediscono un buon proseguimento dell’attività, insieme naturalmente a una feroce tassazione.

Cardenà prosegue la sua analisi ponendo luce su alcuni problemi fiscali che mettono i bastono tra le ruote ai novelli imprenditori. Messo da parte il prelievo fiscale, molto più leggero nelle aree concorrenti, Cardenà evidenzia una delle principali problematiche che attanagliano le nuove imprese: ovvero un sistema di imposizione fiscale e pagamento tributi decisamente stringente per le nuove iniziative, visto che nel primo anno, tra l’estate e l’autunno, l’imprenditore è chiamato a versare non solo il saldo dell’anno precedente, ma anche l’acconto relativo all’anno in corso, svuotando così le tasche e non consentendo all’imprenditore di investire quei soldi in beni strumentali e iniziative finalizzate a mandare avanti la propria impresa e a renderla redditizia.

L’esempio fatto da Cardenà è molto calzante, quanto inquietante: se un imprenditore ha guadagnato alla fine del 2011 50.000 euro, dovrà versare all’erario tutto quello che ha guadagnato: 25.000 euro relativi al saldo dell’anno passato più altri 25.000 euro concernenti l’acconto dell’anno in corso, visto che quest’ultimo equivale secondo la normativa a circa il 100% dell’imposta riguardante il saldo.
Come è ben chiaro, la possibilità di investire tali risorse in beni favorevoli ad avviare l’impresa e a renderla competitiva, diventa alquanto inesistente, con il risultato di demoralizzare l’imprenditore e aumentare il livello di rischio di vita dell’impresa.

Anche la mancanza di una vera e propria stabilizzazione fiscale per ciò che concerne le imprese, mutevole a seconda delle particolari esigenze del momento, ha praticamente cancellato ogni possibilità di disegnare una prospettiva della propria iniziativa imprenditoriale, componente fondamentale per pianificare le prospettive di bilancio e il ramo di azione dell’attività stessa, senza contare i problemi con il Fisco qualora le aziende siano in attivo e attendino il ritorno economico per proseguire con i propri investimenti.

La Banca Mondiale denuncia un’assenza di coordinamento tra gli organismi di controllo

Tra i punti critici segnalati dalla Banca Mondiale, invece, risultano anche quelli amministrativi, come ad esempio il carente coordinamento tra gli organismi di controllo: esemplificando, la Banca Mondiale cita il Ministero della Salute che effettua controlli tramite due agenzie differenti: i Posti di Ispezione Frontaliera e gli Uffici di Sanità Marittima Aera di Frontiera, le quali non sono coordinate tra loro e non rispondono a una struttura gerarchica, allungando di fatto i tempi di controllo e i costi a carico delle imprese, in attesa che le merci ricevano ufficialmente l’autorizzazione per la commercializzazione.
Oppure, ancora, gli uffici doganali italiani, che non sono operativi 24 ore su 24, come nella maggior parte dei Paesi europei, e che dunque allungano ulteriormente le tempistiche.

A fronte di queste componenti, diverse tra loro ma ugualmente demoralizzanti, avviare un’iniziativa imprenditoriale italiana significa far fronte a determinati problemi di logistica che invitano, dopo 1 o 2 anni di attività, a demordere. In tempo di crisi finanziaria, ovvero in un momento in cui piccole e medie imprese dichiarano fallimento, pensare a una logica sostitutiva è a dir poco superflua. Una regolamentazione più efficace a livello burocratico e un alleggerimento della pressione fiscale, aiuterebbero senza alcun dubbio la rinascita di attività imprenditoriali, senza che queste rischino di finire nel buco nero della vita breve, non rilanciando, a livello macroscopico, la crescita del Paese.

L’esempio dell’Alto Adige

Sotto questo aspetto si sta muovendo molto bene l’Alto Adige, visto che la Giunta provinciale ha deciso per l’azzeramento dell’IRAP per i primi 5 anni per quelle aziende che si insediano nella provincia di Bolzano per favorire e sviluppare il proprio business. Una misura finalizzata, secondo l’idea dell’assessore Thomas Widmann, a stimolare lo sviluppo, rafforzare la localizzazione economica e soprattutto favorire l’occupazione, attirando di conseguenza gli investimenti.

Un’altra misura adottata dalla Provincia consiste nello stanziamento di 22 milioni di euro finalizzato allo sviluppo della ricerca tecnologica, in grado dunque di coprire le spese relative a laboratori, attrezzature e personale impiegato nel Parco Tecnologico dell’area attualmente in costruzione.

A tutto ciò si aggiunge anche la concessione di contributi biennali al canone di locazione di immobili, che agevola senza alcun dubbio le nuove imprese fondate nell’area di interesse, a patto che le stesse aziende dimostrino volontà nel creare occupazione, assumendo almeno quattro dipendenti.

Ci pare già un buon inizio, ma a livello nazionale la luce in fondo al tunnel sembra ancora molto lontana.

Argomenti

# Italia
# Fisco
# Tasse
# IRAP

Accesso completo a tutti gli articoli di Money.it

A partire da
€ 9.90 al mese

Abbonati ora

Iscriviti a Money.it