Dopo una sostanziale lateralità che ha caratterizzato gli ultimi anni grazie all’intervento della BCE, i rendimenti dei titoli decennali italiani sembrano abbiano invertito il trend. Quali ricadute per gli investitori?
In queste ultime settimane il clima intorno ai BTP italiani è nettamente cambiato. Il mix tra un contesto politico che non convince appieno gli investitori internazionali e prospettive di tassi in rialzo in linea con gli aumenti dell’inflazione registrati nell’Eurozona hanno spinto i rendimenti dei titoli di Stato a 10 anni sui massimi da novembre 2014.
L’allungo oltre la soglia del 2,4% di rendimento richiesto dagli investitori sul mercato secondario per acquistare il BTP sembra così aver decretato la fine della luna di miele per quanto riguarda il costo di rifinanziamento del debito che si era venuta a creare con il mercato da quando, verso la fine del 2014-inizio 2015, la BCE aveva dapprima iniziato a parlare e poi annunciato ufficialmente il piano di acquisto straordinario di titoli di Stato dei Paesi dell’Eurozona denominato Quantitative Easing.
Il nuovo Governo, e a cascata famiglie e imprese, ora corrono il rischio di dover gestire un generalizzato rialzo del costo del debito. Soprattutto però i rischi sono per quegli investitori che in questi anni hanno deciso di inserire con decisione titoli di Stato all’interno dei loro portafogli.
Grafico rendimento BTP 10 anni, fonte dati Bloomberg
Come si vede dal grafico, i segnali di inversione del trend dei rendimenti richiesti dal mercato potrebbero a questo punto proseguire nel medio-lungo termine. E seguendo alcuni elementi base dell’analisi tecnica applicata al grafico del rendimento del BTP a 10 anni, l’inversione potrebbe spingere i tassi di mercato dei BTP a 10 anni fino in area 3,65%.
Quello indicato è un valore ricavato estendendo al rialzo con Fibonacci l’ampiezza del sostanziale trading range che ha caratterizzato il periodo tra la fine del 2014 e l’inizio di questo mese di maggio. Periodo, come si diceva prima, in cui sul mercato dei titoli di Stato europei a giocato un valore strategico fondamentale la BCE di Mario Draghi.
Il monito, il campanello d’allarme emerso in questi giorni, con lo spread BTP-Bund che ha oltrepassato la soglia dei 200 punti, rischia dunque di essere un qualcosa di davvero preoccupante per gli investitori che hanno costruito i loro portafogli con un ingente ammontare di titoli di Stato a medio e lungo termine.
Non si sta parlando in questo caso di rischio Paese ma di gestione dei propri impiegni. Se il trend rialzista dei tassi del BTP dovesse proseguire l’andamento delle ultime settimane, molti investitori si troverebbero ad avere cospicue perdite (potenziali) di capitale.
Nel mondo obbligazionario a un rialzo dei tassi corrisponde un calo dei prezzi del bond. Gli investitori per evitare di perdere di accusare queste perdite in conto capitale si troverebbero costretti a detenere fino a scadenza i titoli di Stato in portafoglio, puntando sì al rimborso del 100% del valore di emissione ma andando nel tempo a perdere sul fronte del potere di acquisto qualora l’inflazione riprendesse vigore dopo lunghi anni di assopimento.
In questa logica ricade anche una categoria di investitori: le banche italiane. Il calo di valore dei titoli di Stato dovuto al rialzo dei tassi di interesse contribuisce ad appesantire la solidità degli stati patrimoniali degli istituti di credito del Paese, con gli investitori che in tal senso potrebbero prendere le distanze.
Elemento questo peraltro emerso in modo netto a Piazza Affari anche questa settimana: il legame spread BTP-Bund/andamento titoli bancari sembra poter ricordare quanto accaduto qualche anno fa. In questa fase di mercato molta cura dunque ai rendimenti dei BTP, sia sul fronte degli investimenti diretti in titoli di Stato sia indirettamente per gli effetti che aumenti dei tassi potrebbero portare sul mercato azionario tricolore.
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