Stato palestinese, perché non esiste ancora e cosa cambierebbe

Luna Luciano

26 Luglio 2025 - 17:16

Per Giorgia Meloni sarebbe controproducente riconoscere ora lo Stato palestinese, dato che non esiste di fatto: ma quando sarà il momento giusto, dato che la popolazione attende al 1948?

Stato palestinese, perché non esiste ancora e cosa cambierebbe

Non è ancora giunto il momento per la Palestina di essere riconosciuta, almeno stando ad alcuni leader mondiali, come la premier Giorgia Meloni la quale ha dichiarato: “Io credo che il riconoscimento dello Stato di Palestina, senza che ci sia uno Stato della Palestina, possa addirittura essere controproducente.

Con queste parole, la premier ha giustificato, ancora una volta, la mancata presa di posizione dell’Italia nel riconoscere formalmente uno Stato palestinese. Lo ha detto a Repubblica, ribadendo che “i tempi non sono maturi”. Ma si potrebbe obiettare: quando lo saranno?

È dal 1948 che il popolo palestinese vive senza uno Stato, senza una casa, senza diritti. Le parole della Premier rischiano di trasformare l’attesa in perpetuità, lasciando la questione palestinese in un limbo diplomatico, utile più a Israele che alla giustizia. Sostenere la necessità di un processo per arrivare a uno Stato, senza mai definirne né i termini né i limiti, suona come una dichiarazione di intenti svuotata di efficacia.

Anzi, in un momento in cui Gaza è ridotta a un campo di macerie, dove bambini muoiono di fame e gli aiuti vengono bloccati, dichiarare che il riconoscimento di uno Stato “sulla carta” sarebbe dannoso, significa ignorare che quel riconoscimento è ormai l’unico strumento per dare un minimo di dignità a un popolo sotto occupazione e vittima di un genocidio. O peggio: significa legittimare, seppure indirettamente, lo status quo imposto dal premier israeliano Benjamin Netanyahu e dal regime d’apartheid israeliano.

Le discussioni sull’origine del conflitto israelo-palestinese, la nascita di Hamas e le dinamiche geopolitiche che hanno ridotto la Striscia di Gaza a una minuscola porzione di terra sono sempre più frequenti. Ma chi sono davvero i palestinesi? E perché, nel corso dei decenni, hanno visto il loro territorio ridursi sempre più, fino quasi a scomparire?

La storia della Palestina è spesso avvolta da stereotipi e falsi miti. Uno dei più diffusi è che, prima della fondazione dello Stato di Israele, quella terra fosse un “deserto vuoto”. Per chiarire alcuni punti fondamentali su questo tema, ripercorriamo brevemente chi sono i palestinesi e qual è l’origine del loro esilio dalla propria terra e cosa cambierebbe se avessero uno stato: forse nulla dato che, come ricorda lo scrittore Ilan Pappé, la soluzione “Due stati per due popoli” non è più percorribile. Di seguito tutto quello che serve sapere a riguardo.

Chi sono i palestinesi

I palestinesi non sono un’entità astratta, né un popolo “senza identità” come spesso descrive certa propaganda sionista. Per conoscere i palestinesi bisogna comprendere cos’è la Palestina, un territorio il cui nome risale al periodo romano, ma che esisteva ben prima di allora. Furono i romani a battezzarlo ufficialmente “Palestina”, e da lì in poi il suo destino si intrecciò con quello degli imperi che dominarono la regione: da Bisanzio agli ottomani.

Lo storico Ilan Pappé, ebreo israeliano e noto per la sua posizione anti-sionista, racconta in Dieci miti su Israele:

Dalla metà del 7° secolo in avanti, la storia della Palestina si unì a quella del mondo arabo e di quello islamico (a eccezione di un breve intervallo nel periodo medievale durante il quale venne ceduta ai crociati). Diverse dinastie musulmane del nord, dell’est e del sud della regione aspiravano a controllarla.

Fu però il periodo degli ottomani, che restarono nella regione per quattrocento anni, quello più rilevante. Già sotto il dominio ottomano, la Palestina era una regione dinamica, con città, villaggi agricoli e una popolazione prevalentemente araba. Alla fine del XIX secolo, secondo i registri ottomani, solo il 3% della popolazione era ebraica. Il resto era composto da musulmani (87%) e cristiani (10%).

Il mito della “terra di nessuno”, diffuso dal sionismo europeo, è stato decostruito da storici israeliani come Ilan Pappé e Amnon Cohen. La Palestina era ben lontana dall’essere vuota o deserta. Era parte integrante del Bilad al-Sham e del Levante, una regione ricca di storia, relazioni sociali e scambi commerciali.

La perdita di una casa: cosa è accaduto ai palestinesi

Una regione fiorente e un popolo numeroso, ma allora come è stato possibile l’isolamento in una striscia di terra e altre piccole enclavi nel territorio dell’attuale Stato di Israele?

A seguito dell’accordo Sykes-Picot, firmato nel 1916 tra Gran Bretagna e Francia, le due potenze coloniali si spartirono l’area attraverso la creazione arbitraria di nuovi stati-nazione. Prima di questo nell’élite locale stava nascendo il desiderio d’indipendenza all’interno di una Siria unita (esattamente come gli Stati Uniti). A seguito della spartizione dei territori da parte occidentale però la Palestina iniziò a considerarsi uno stato arabo indipendente.

Nel 1923 vennero ridisegnati i confini e se la Palestina era meglio delineata, non lo era la popolazione. A chi apparteneva: ai nativi palestinesi o ai nuovi coloni ebrei? Presero avvio violenti scontri etnici. Fu però il 1948, post Seconda guerra mondiale e post Olocausto, che solcò la crepa ancora non chiusa sul territorio palestinese.

La “risoluzione 181”, che prevedeva la ripartizione dei territori tra ebrei e palestinesi, venne accettata dal presidente dell’Organizzazione sionista mondiale David Ben Gurion (poi primo ministro israeliano) e rifiutata dai palestinesi. Questi infatti non accettavano che il loro territorio dovesse accogliere lo Stato di Israele (56% della Palestina).

Nel corso del tempo lo spazio occupato da Israele continuò a crescere. Alla fine della guerra con gli stati arabi solidali alla causa palestinese (Egitto, Iraq, Giordania e Siria) nel 1949 Israele controllava il 72% del territorio. I palestinesi che abitavano i territori conquistati furono costretti a lasciare le case e a farsi profughi nella propria terra e fuori. In questi giorni si è tornato a utilizzare il termine con il quale è stata descritta la prima catastrofe, ovvero “Nakba”.

Diverse Intifada (manifestazioni e boicottaggi repressi con la violenza dell’esercito israeliano) dopo e con alle spalle 40 anni di occupazione, Israele si ritirò dalla Striscia di Gaza. Oggi la Striscia di Gaza resta circondata via terra, mare e aria dall’esercito israeliano, che controlla anche luce, acqua e cibo da somministrare alla popolazione palestinese residente. Per questo è spesso definita una “prigione a cielo aperto” e per questo i palestinesi sono un popolo senza uno Stato in casa loro.

Stato Palestinese, cosa cambierebbe: Due Stati due popoli non è la vera soluzione

Il riconoscimento dello Stato di Palestina non è un regalo, ma un diritto. Eppure, continua a essere rimandato, anche da leader come Giorgia Meloni, che si dicono “favorevoli”, ma solo a valle di un processo che nessuno ha mai voluto veramente far iniziare.

Ma cosa cambierebbe davvero se si riconoscesse lo Stato di Palestina? In primo luogo, si affermerebbe il principio che i palestinesi sono un popolo titolare di diritti, e non semplici “ospiti” indesiderati sulla terra che abitano da secoli. Significherebbe interrompere l’illusione che la pace si possa costruire senza giustizia, senza riconoscimento, senza simmetria.

Tuttavia, è lecito chiedersi se la soluzione “due popoli due Stati” sia ancora credibile. Oggi, molte delle terre che dovrebbero comporre lo Stato palestinese sono ormai occupate, annesse o colonizzate da Israele. Anche laddove non lo sono formalmente, non sono accessibili: Gaza è sotto assedio totale; la Cisgiordania è un mosaico di enclave isolate. Come scrive Ilan Pappé, autore di Dieci miti su Israele, la soluzione a due Stati è:

come un cadavere tirato fuori di tanto in tanto dall’obitorio, ben vestito e presentato come un essere vivente. Quando viene dimostrato ancora una volta che si tratta di un morto, viene riportato all’obitorio.

La vera via, secondo lo storico e altri esperti analisti, è quella della decolonizzazione e del riconoscimento pieno dei diritti, in un’unica entità democratica, dove ebrei e palestinesi (musulmani e cristiani) possano convivere come cittadini, non come colonizzatori e colonizzati.

In questo scenario, le parole di Meloni rischiano di diventare un “alibi”. Un alibi utile a Netanyahu per continuare il genocidio palestinese. Finché i leader europei continueranno a parlare di “tempi non maturi”, Israele potrà continuare a impedire la nascita di qualunque Stato palestinese, perpetuando un genocidio sotto gli occhi del mondo.

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