Solo il 30% delle aziende italiane ha formalizzato il proprio purpose e oltre la metà non lo traduce in pratiche operative. Eppure farlo migliora innovazione, motivazione e resilienza. Ecco perché.
Solo una minoranza delle imprese italiane riesce a trasformare il proprio purpose, ovvero la “ragione d’essere” che va oltre il profitto, in una leva strategica concreta. Secondo i dati del nuovo Osservatorio Purpose in Action della School of Management del Politecnico di Milano, appena un’azienda su tre ha formalizzato questo concetto in una dichiarazione ufficiale, mentre il 59% non lo integra affatto nelle proprie attività quotidiane.
Il sondaggio, condotto su un ampio campione di manager, rivela che il 62% sa esprimere a parole il purpose della propria organizzazione, ma oltre un terzo (37%) lo considera poco chiaro o troppo astratto. E dove manca una definizione condivisa, mancano anche momenti o pratiche dedicate a trasformarlo in comportamenti, processi o scelte strategiche.
Eppure, i dati mostrano un vantaggio concreto per chi ci riesce. Come spiega Josip Kotlar, direttore scientifico dell’Osservatorio, “i manager delle aziende con un purpose formalizzato sono il 22% più efficaci nella capacità di rinnovamento strategico”. Una differenza significativa, che sottolinea quanto un’identità ben definita possa rendere le organizzazioni più innovative, coese e resilienti.
Purpose: cos’è e perché è importante per le aziende
Ma che cos’è esattamente il purpose? Lo definisce Federico Frattini, co-direttore dell’Osservatorio: è “la ragione d’essere di un’azienda e la sua aspirazione a perseguire un obiettivo che vada oltre la semplice ricerca del risultato economico-finanziario”. Un principio che unisce tre dimensioni fondamentali, strategica, culturale e socio-ambientale e che, per funzionare, deve essere “sfidante, coerente con l’identità aziendale e ispirazionale” per tutti gli stakeholder.
In pratica, il purpose rappresenta la bussola che orienta decisioni e comportamenti, aiutando le imprese a mantenere coerenza tra ciò che dichiarano e ciò che fanno. Tuttavia, secondo la ricerca, molti ostacoli ne frenano l’integrazione: per il 35% dei manager il concetto è percepito come troppo teorico; il 27% lamenta una mancanza di allineamento tra leadership e dipendenti; un quarto denuncia scarsa comunicazione o piani d’azione insufficienti.
Inoltre, solo il 17% delle aziende dichiara di misurare il proprio purpose con indicatori precisi, mentre il 36% lo fa in modo non sistematico. Una lacuna importante, perché senza strumenti di monitoraggio non è possibile capire quanto la “ragion d’essere” dell’impresa si traduca in valore reale per stakeholder e società.
leggi anche
Perché i migliori manager sono bravi narratori? L’importanza del leadership storytelling

I vantaggi (anche economici) di un purpose integrato
L’analisi del Politecnico mostra che il purpose può generare benefici tangibili, non solo reputazionali. Tra i vantaggi citati dai manager ci sono la motivazione del personale (51%), le relazioni esterne e la reputazione (46%), e, in misura minore, il raggiungimento diretto degli obiettivi di business (36%). In altre parole, il purpose è ancora visto come un fattore di coesione e credibilità più che di profitto immediato, ma i due aspetti non sono così in contraddizione.
Le imprese che lo integrano davvero, infatti, riescono a usare il purpose per orientare innovazione e scelte strategiche: favoriscono la collaborazione tra generazioni, allineano le risorse aziendali ai propri valori e collegano la “missione” ai prodotti e servizi offerti. In questo modo, il purpose diventa una leva di posizionamento competitivo e non un esercizio di comunicazione.
Anche il legame con la sostenibilità è evidente: molti manager collegano il purpose agli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) dell’ONU, in particolare quelli relativi a lavoro dignitoso (32%), parità di genere (31%) e salute e benessere (30%).
Non significa quindi rinunciare ai risultati economici, ma collegarli a una visione di lungo periodo.
Secondo gli esperti dell’Osservatorio, la piena attuazione del purpose passa da due fronti:
- interno, per capire quanto sia realmente compreso e vissuto dai collaboratori;
- esterno, per misurare l’impatto sociale, economico e ambientale generato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA