Cosa ha detto Liliana Segre al Senato e perché ha chiesto di difendere la Costituzione a 100 anni dalla marcia fascista su Roma

Giacomo Andreoli

13 Ottobre 2022 - 12:25

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La senatrice a vita, a pochi giorni dalla formazione del governo Meloni, presiede la prima seduta del nuovo Palazzo Madama e avverte la nuova maggioranza su Costituzione e valori repubblicani.

Cosa ha detto Liliana Segre al Senato e perché ha chiesto di difendere la Costituzione a 100 anni dalla marcia fascista su Roma

La prima giornata ufficiale della nuova legislatura, la numero XIX, è segnata da Liliana Segre. La testimone della Shoah e senatrice a vita, in quanto membro più anziano del Senato, ha infatti presieduto la prima riunione a Palazzo Madama con i nuovi parlamentari, 200 e non più 315, dopo il taglio entrato in vigore effettivamente con le elezioni del 25 settembre.

Prima di avviare i lavori, nel giorno in cui si sceglie chi sarà il prossimo presidente del Senato, Segre ha tenuto un discorso rivolto a tutti i nuovi eletti, ma anche indirettamente a tutte le istituzioni, compreso il nuovo governo, probabilmente guidato da Giorgia Meloni. Le parole chiave di quello che può essere letto a tutti gli effetti come un monito all’Italia di oggi e del futuro, applaudito più volte da tutto l’arco parlamentare, sono: Costituzione, lotta all’odio, ricordo degli estremismi del Novecento (assieme alle tragedie a cui hanno portato) e unità repubblicana.

La presidenza del Senato a 100 anni dalla marcia su Roma

Segre ha iniziato ricordando che in questo mese di ottobre cade il centenario della Marcia su Roma, che dette inizio alla dittatura fascista e proprio ora tocca a lei assumere momentaneamente la presidenza di un “tempio della democrazia come il Senato”.

Il valore simbolico di questa circostanza casuale - ha detto la senatrice - si amplifica nella mia mente perché ai miei tempi la scuola iniziava in ottobre ed è impossibile per me non provare una sorta di vertigine ricordando che quella stessa bambina che in un giorno come questo del 1938 fu costretta dalle leggi razziste a lasciare vuoto il suo banco delle scuole elementari, oggi si trova per uno strano destino addirittura sul banco più prestigioso del Senato!”.

“Difendere la Costituzione”

Segre, quindi, ha spiegato che la Carta è il “principale ancoraggio attorno al quale deve manifestarsi l’unità del nostro popolo è la Costituzione repubblicana”. Non si tratta quindi di un “pezzo di carta, ma è il testamento di 100mila morti caduti nella lunga lotta per la libertà”, a cui il popolo italiano “è attaccato, perché l’ha sempre sentita amica”.

Da qui la richiesta di non ignorare la Carta fondamentale, ma di applicarla fino in fondo. Quindi la stoccata ai governi del passato (in primis D’Alema, Berlusconi e Renzi) e al prossimo guidato da Meloni. «Naturalmente - spiega Segre- la Costituzione è perfettibile e può essere emendata, ma consentitemi di osservare che se le energie che da decenni vengono spese per cambiare la Costituzione, peraltro con risultati modesti e talora peggiorativi, fossero state, invece, impiegate per attuarla, il nostro sarebbe un Paese più giusto e anche più felice».

La senatrice a vita, dunque, si è detta convinta che la Costituzione vada applicata a priori, ma a maggior ragione in un momento che si preannuncia molto difficile dal punto di vista economico e sociale per il popolo italiano, rimuovendo gli ostacoli “per una piena libertà e uguaglianza”.

L’invito al prossimo governo e a tutto il Parlamento è trovare l’unica per “rispondere al grido di dolore che giunge da tante famiglie e da tante imprese che si dibattono sotto i colpi dell’inflazione e dell’eccezionale impennata dei costi dell’energia”, prima che “la paura e la rabbia possano raggiungere i livelli di guardia e tracimare”.

Il monito su 25 aprile e 2 giugno

Segre, quindi, ha invitato a non ritenere in alcun modo “divisive” le feste d’unità repubblicana: il 25 aprile festa della Liberazione, il 1° maggio festa del lavoro, il 2 giugno festa della Repubblica. Per la senatrice “le grandi nazioni dimostrano di essere tali anche riconoscendosi coralmente nelle festività civili, ritrovandosi affratellate attorno alle ricorrenze scolpite nel grande libro della storia patria”.

Quindi il monito sul superamento degli steccati e l’assunzione di una comune responsabilità in merito alla lotta contro “la diffusione del linguaggio dell’odio, l’imbarbarimento del dibattito pubblico, la violenza dei pregiudizi e le discriminazioni”.

Il discorso completo di Liliana Segre al Senato

Ecco quindi il discorso integrale della senatrice Liliana Segre all’aula del Senato:

Colleghe Senatrici, Colleghi Senatori,

rivolgo il più caloroso saluto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e a quest’Aula. Con rispetto, rivolgo il mio pensiero a Papa Francesco.

Certa di interpretare i sentimenti di tutta l’Assemblea, desidero indirizzare al Presidente Emerito Giorgio Napolitano, che non ha potuto presiedere la seduta odierna, i più fervidi auguri e la speranza di vederlo ritornare presto ristabilito in Senato.

Il Presidente Napolitano mi incarica di condividere con voi queste sue parole: “Desidero esprimere a tutte le senatrici ed i senatori, di vecchia e nuova nomina, i migliori auguri di buon lavoro, al servizio esclusivo del nostro Paese e dell’istituzione parlamentare ai quali ho dedicato larga parte della mia vita”.

Rivolgo ovviamente anch’io un saluto particolarmente caloroso a tutte le nuove Colleghe e a tutti i nuovi Colleghi, che immagino sopraffatti dal pensiero della responsabilità che li attende e dalla austera solennità di quest’aula, così come fu per me quando vi entrai per la prima volta in punta di piedi.

Come da consuetudine vorrei però anche esprimere alcune brevi considerazioni personali. Incombe su tutti noi in queste settimane l’atmosfera agghiacciante della guerra tornata nella nostra Europa, vicino a noi, con tutto il suo carico di morte, distruzione, crudeltà, terrore...una follia senza fine.

Mi unisco alle parole puntuali del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “la pace è urgente e necessaria. La via per ricostruirla passa da un ristabilimento della verità, del diritto internazionale, della libertà del popolo ucraino”.

Oggi sono particolarmente emozionata di fronte al ruolo che in questa giornata la sorte mi riserva.

In questo mese di ottobre nel quale cade il centenario della Marcia su Roma, che dette inizio alla dittatura fascista, tocca proprio ad una come me assumere momentaneamente la presidenza di questo tempio della democrazia che è il Senato della Repubblica.

Ed il valore simbolico di questa circostanza casuale si amplifica nella mia mente perché, vedete, ai miei tempi la scuola iniziava in ottobre; ed è impossibile per me non provare una sorta di vertigine ricordando che quella stessa bambina che in un giorno come questo del 1938, sconsolata e smarrita, fu costretta dalle leggi razziste a lasciare vuoto il suo banco delle scuole elementari, oggi si trova per uno strano destino addirittura sul banco più prestigioso del Senato!

Il Senato della diciannovesima legislatura è un’istituzione profondamente rinnovata, non solo negli equilibri politici e nelle persone degli eletti, non solo perché per la prima volta hanno potuto votare anche per questa Camera i giovani dai 18 ai 25 anni, ma soprattutto perché per la prima volta gli eletti sono ridotti a 200.

L’appartenenza ad un così rarefatto consesso non può che accrescere in tutti noi la consapevolezza che il Paese ci guarda, che grandi sono le nostre responsabilità ma al tempo stesso grandi le opportunità di dare l’esempio.

Dare l’esempio non vuol dire solo fare il nostro semplice dovere, cioè adempiere al nostro ufficio con “disciplina e onore”, impegnarsi per servire le istituzioni e non per servirsi di esse.

Potremmo anche concederci il piacere di lasciare fuori da questa assemblea la politica urlata, che tanto ha contribuito a far crescere la disaffezione dal voto, interpretando invece una politica “alta” e nobile, che senza nulla togliere alla fermezza dei diversi convincimenti, dia prova di rispetto per gli avversari, si apra sinceramente all’ascolto, si esprima con gentilezza, perfino con mitezza.

Le elezioni del 25 settembre hanno visto, come è giusto che sia, una vivace competizione tra i diversi schieramenti che hanno presentato al Paese programmi alternativi e visioni spesso contrapposte. E il popolo ha deciso.

È l’essenza della democrazia.

La maggioranza uscita dalle urne ha il diritto-dovere di governare; le minoranze hanno il compito altrettanto fondamentale di fare opposizione. Comune a tutti deve essere l’imperativo di preservare le Istituzioni della Repubblica, che sono di tutti, che non sono proprietà di nessuno, che devono operare nell’interesse del Paese, che devono garantire tutte le parti.

Le grandi democrazie mature dimostrano di essere tali se, al di sopra delle divisioni partitiche e dell’esercizio dei diversi ruoli, sanno ritrovarsi unite in un nucleo essenziale di valori condivisi, di istituzioni rispettate, di emblemi riconosciuti.

In Italia il principale ancoraggio attorno al quale deve manifestarsi l’unità del nostro popolo è la Costituzione Repubblicana, che come disse Piero Calamandrei non è un pezzo di carta, ma è il testamento di 100.000 morti caduti nella lunga lotta per la libertà; una lotta che non inizia nel settembre del 1943 ma che vede idealmente come capofila Giacomo Matteotti.

Il popolo italiano ha sempre dimostrato un grande attaccamento alla sua Costituzione, l’ha sempre sentita amica.

In ogni occasione in cui sono stati interpellati, i cittadini hanno sempre scelto di difenderla, perché da essa si sono sentiti difesi.

E anche quando il Parlamento non ha saputo rispondere alla richiesta di intervenire su normative non conformi ai principi costituzionali – e purtroppo questo è accaduto spesso – la nostra Carta fondamentale ha consentito comunque alla Corte Costituzionale ed alla magistratura di svolgere un prezioso lavoro di applicazione giurisprudenziale, facendo sempre evolvere il diritto.

Naturalmente anche la Costituzione è perfettibile e può essere emendata (come essa stessa prevede all’art. 138), ma consentitemi di osservare che se le energie che da decenni vengono spese per cambiare la Costituzione – peraltro con risultati modesti e talora peggiorativi – fossero state invece impiegate per attuarla, il nostro sarebbe un Paese più giusto e anche più felice.

Il pensiero corre inevitabilmente all’art. 3, nel quale i padri e le madri costituenti non si accontentarono di bandire quelle discriminazioni basate su “sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”, che erano state l’essenza dell’ancien regime.

Essi vollero anche lasciare un compito perpetuo alla “Repubblica”: “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Non è poesia e non è utopia: è la stella polare che dovrebbe guidarci tutti, anche se abbiamo programmi diversi per seguirla: rimuovere quegli ostacoli !

Le grandi nazioni, poi, dimostrano di essere tali anche riconoscendosi coralmente nelle festività civili, ritrovandosi affratellate attorno alle ricorrenze scolpite nel grande libro della storia patria.

Perché non dovrebbe essere così anche per il popolo italiano? Perché mai dovrebbero essere vissute come date “divisive”, anziché con autentico spirito repubblicano, il 25 Aprile festa della Liberazione, il 1° Maggio festa del lavoro, il 2 Giugno festa della Repubblica?

Anche su questo tema della piena condivisione delle feste nazionali, delle date che scandiscono un patto tra le generazioni, tra memoria e futuro, grande potrebbe essere il valore dell’esempio, di gesti nuovi e magari inattesi.

Altro terreno sul quale è auspicabile il superamento degli steccati e l’assunzione di una comune responsabilità è quello della lotta contro la diffusione del linguaggio dell’odio, contro l’imbarbarimento del dibattito pubblico, contro la violenza dei pregiudizi e delle discriminazioni.

Permettetemi di ricordare un precedente virtuoso: nella passata legislatura i lavori della “Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza” si sono conclusi con l’approvazione all’unanimità di un documento di indirizzo. Segno di una consapevolezza e di una volontà trasversali agli schieramenti politici, che è essenziale permangano.

Concludo con due auspici.

Mi auguro che la nuova legislatura veda un impegno concorde di tutti i membri di questa assemblea per tenere alto il prestigio del Senato, tutelare in modo sostanziale le sue prerogative, riaffermare nei fatti e non a parole la centralità del Parlamento.

Da molto tempo viene lamentata da più parti una deriva, una mortificazione del ruolo del potere legislativo a causa dell’abuso della decretazione d’urgenza e del ricorso al voto di fiducia. E le gravi emergenze che hanno caratterizzato gli ultimi anni non potevano che aggravare la tendenza.

Nella mia ingenuità di madre di famiglia, ma anche secondo un mio fermo convincimento, credo che occorra interrompere la lunga serie di errori del passato e per questo basterebbe che la maggioranza si ricordasse degli abusi che denunciava da parte dei governi quando era minoranza, e che le minoranze si ricordassero degli eccessi che imputavano alle opposizioni quando erano loro a governare.

Una sana e leale collaborazione istituzionale, senza nulla togliere alla fisiologica distinzione dei ruoli, consentirebbe di riportare la gran parte della produzione legislativa nel suo alveo naturale, garantendo al tempo stesso tempi certi per le votazioni.

Auspico, infine, che tutto il Parlamento, con unità di intenti, sappia mettere in campo in collaborazione col Governo un impegno straordinario e urgentissimo per rispondere al grido di dolore che giunge da tante famiglie e da tante imprese che si dibattono sotto i colpi dell’inflazione e dell’eccezionale impennata dei costi dell’energia, che vedono un futuro nero, che temono che diseguaglianze e ingiustizie si dilatino ulteriormente anziché ridursi. In questo senso avremo sempre al nostro fianco l’Unione Europea con i suoi valori e la concreta solidarietà di cui si è mostrata capace negli ultimi anni di grave crisi sanitaria e sociale.

Non c’è un momento da perdere: dalle istituzioni democratiche deve venire il segnale chiaro che nessuno verrà lasciato solo, prima che la paura e la rabbia possano raggiungere i livelli di guardia e tracimare.

Senatrici e Senatori, cari Colleghi, buon lavoro!

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