I caccia F-35 costano tanto e ci vogliono anni per fabbricarli. Per questo presto saranno sostituiti da questo nuovo sistema.
La guerra in Ucraina ha riportato un conflitto armato nel cuore dell’Europa dopo decenni di relativa pace, in un momento storico in cui molti pensavano che la stabilità fosse ormai garantita. E invece, da oltre tre anni, il conflitto prosegue, mostrando segnali di potenziale escalation.
In questo scenario, gli Stati europei hanno compreso l’urgenza di un riarmo rapido, da realizzare entro 2-3 anni, per non trovarsi impreparati di fronte a un possibile ampliamento del conflitto. È proprio questo l’obiettivo del piano ReArm Europe, un programma pensato per rafforzare le capacità difensive del continente attraverso un incremento degli investimenti militari. Ma non solo: il piano prevede anche il coinvolgimento diretto dei cittadini, invitati a prepararsi al peggio accumulando scorte alimentari e beni essenziali per sopravvivere almeno tre giorni senza assistenza esterna. Il messaggio è chiaro: la minaccia russa è concreta e l’Europa deve attrezzarsi per affrontarla.
Uno dei nodi centrali riguarda la capacità produttiva e l’autonomia strategica. Gli Stati europei devono investire non solo per aumentare la propria forza militare, ma anche per ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti, che potrebbero non essere disponibili a intervenire direttamente in caso di crisi. Storicamente, circa il 50% degli armamenti acquistati dai Paesi europei è stato fornito da aziende statunitensi. Oggi, l’obiettivo è invertire questa tendenza nel minor tempo possibile.
Il caso emblematico è quello dell’F-35, il jet da combattimento di punta della difesa americana. Nonostante le sue prestazioni siano eccellenti, presenta alcune criticità: il costo unitario supera i 100 milioni di dollari e può triplicare considerando l’intero ciclo di vita. Inoltre, i tempi di produzione sono lunghi e incompatibili con un riarmo rapido.
Le alternative europee non entusiasmano. Il Gripen svedese è considerato un buon compromesso tra costi e prestazioni, mentre la Francia punta tutto sul Rafale. Entrambi, però, hanno capacità produttive limitate (circa 25 unità l’anno), insufficienti a soddisfare le esigenze continentali. L’Eurofighter Typhoon, frutto di una collaborazione multinazionale, è spesso criticato per la tecnologia ormai datata e l’effettiva efficacia operativa. Sebbene progettato per durare 60 anni, nessuna unità ha superato i 20 anni di utilizzo effettivo. Anche un’espansione produttiva significativa appare incerta.
Il futuro sono i droni
Per queste ragioni, molti analisti concordano sulla necessità di una svolta. La soluzione più promettente è rappresentata dai droni. Economici e costruibili in tempi rapidi, un moderno drone missilistico ha un costo di circa 1 milione di dollari. Inoltre, l’Europa può contare su alcuni dei principali fornitori mondiali di tecnologie in questo settore.
La sfida principale riguarda però la produzione autonoma di componenti strategici. Oggi, molti elementi chiave dei droni provengono ancora da Stati Uniti o Cina. In questo contesto, l’Ucraina ha offerto la propria tecnologia avanzata in cambio del sostegno militare: qualsiasi Paese disposto a inviare truppe per missioni di pace, addestramento o supporto, potrà accedere a soluzioni tecnologiche all’avanguardia. Un’offerta allettante per molti governi europei, soprattutto in vista di un possibile disimpegno statunitense.
Altro strumento cruciale sarà la tecnologia jamming, ovvero i sistemi per disturbare le comunicazioni e rendere inoffensivi i droni nemici. Anche in questo campo l’Ucraina è all’avanguardia: i suoi jammer più sofisticati costano circa 5 milioni di dollari e sono già utilizzati con successo sul campo. L’obiettivo europeo è sfruttare queste tecnologie per copiarle, svilupparle internamente e integrarle rapidamente nella propria strategia di difesa.
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