Le riforme mirate a rilanciare le IPO puntano a ridurre oneri e incertezze per le imprese, ma riportano al centro il delicato equilibrio tra regolamentazione, trasparenza e fiducia dei mercati finanziari.
Rendere di nuovo centrale il mercato azionario statunitense è un obiettivo ambizioso che si colloca in un contesto storico complesso, segnato da un lento declino delle società quotate e da un parallelo rafforzamento dell’universo privato, sostenuto per oltre un decennio da capitali abbondanti, tassi ultra-bassi e un ecosistema finanziario pronto ad assorbire imprese in rapida crescita senza pretendere i livelli di trasparenza richiesti ai titoli pubblici.
Questo squilibrio ha progressivamente creato una sorta di “dualismo finanziario”: da un lato i piccoli risparmiatori, che accedono quasi esclusivamente alle società quotate e vedono restringersi l’offerta di opportunità dinamiche; dall’altro fondi di private equity, investitori istituzionali e detentori di grandi patrimoni, che possono partecipare a crescite spettacolari rimanendo al di fuori dei radar della regolamentazione.
Le recenti iniziative per rivitalizzare le IPO intendono invertire questa tendenza riducendo gli oneri burocratici, diminuendo l’esposizione a cause collettive e attenuando il peso degli azionisti attivisti, considerati da alcuni come un freno alla capacità delle aziende di concentrarsi sulla strategia. Ma la lettura secondo cui l’eccesso di regolamentazione sarebbe l’unico vero ostacolo è solo una parte della storia: molte imprese hanno infatti scelto di restare private perché l’ambiente macroeconomico le premiava, consentendo di raccogliere capitali senza rendicontazioni trimestrali, senza scrutinio pubblico e senza la pressione di risultati immediati. [...]
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