Il Parlamento ha approvato la riforma della giustizia, ma la decisione finale spetterà ai cittadini: ecco quando si vota, come si vota e cosa cambia.
I cittadini sono chiamati a votare per il referendum sulla giustizia, che introduce come novità principale la separazione delle carriere di magistrati e pubblici ministeri.
Dopo l’approvazione della Camera e del Senato in seconda lettura, la riforma della giustizia è legge e verrà pubblicata in Gazzetta Ufficiale: a partire da quel momento sarà possibile richiedere un referendum confermativo nel quale saranno i cittadini italiani attraverso il proprio voto a confermare o meno tale legge. Se confermato dalla Corte, gli elettori potrebbero essere chiamati a esprimersi nella primavera 2026.
Che cosa prevede il referendum sulla giustizia, quando si vota e che cosa cambia? Cerchiamo di fare chiarezza.
Referendum sulla giustizia: come funziona e quando si vota
La riforma della separazione delle carriere ha ricevuto il via libera dalla Camera e dal Senato, ma l’iter per la modifica di una norma costituzionale (secondo quanto previsto dall’articolo 138 della Costituzione) prevede anche la possibilità di indire un referendum popolare entro tre mesi dall’approvazione della legge. Ormai il procedimento referendario sembra scontato, visto che la legge non ha ottenuto l’approvazione con la maggioranza dei due terzi del Parlamento.
Per chiamare i cittadini al voto, tramite referendum confermativo, quindi, occorrerà raccogliere:
- 500.000 firme di elettori italiani;
- le adesioni di un quinto dei parlamentari (quindi 80 deputati oppure 41 senatori);
- le richieste di cinque Consigli regionali.
A quel punto, il Presidente della Repubblica avrà 60 giorni a disposizione per indire il referendum che dovrà svolgersi in una domenica tra 50esimo e il 70esimo giorno successivo al decreto di indizione. I tempi sono piuttosto ampi, ma il ministro Carlo Nordio ha già anticipato l’intenzione di andare a votare tra metà marzo e metà aprile 2026, in modo da evitare il periodo estivo.
Referendum confermativo: come si vota
Il referendum confermativo, come previsto dall’articolo 138 della Costituzione, è uno strumento di democrazia diretta che viene utilizzato per confermare o respingere una legge di revisione costituzionale approvata dal Parlamento. Tale referendum può svolgersi soltanto se non è stata raggiunta la maggioranza dei due terzi delle Camere nella seconda votazione.
I cittadini possono decidere se approvare o respingere la legge nella sua interessa, ovvero effettuare la propria scelta sull’intera riforma della giustizia e non sui singoli articoli. Quindi:
- si vota “Sì” per approvare definitivamente la riforma;
- si vota “No” per respingerla.
A differenza di un referendum abrogativo, in questo caso non è richiesto il raggiungimento del quorum: ciò significa che il voto risulta valido anche se alle urne non si recano la metà più uno degli aventi diritto al voto. Se vince il “Sì”, al riforma è approvata; se vince il “No”, la riforma è cancellata.
Cosa prevede la riforma della giustizia in breve
La riforma della giustizia prevede la separazione delle carriere tra magistrati e pubblici ministeri. In Italia, infatti, i magistrati si dividono tra quelli requirenti, che conducono le indagini penali, e quelli giudicanti nei tribunali, cioè i giudici. Ad oggi, la legge prevede che sia possibile, una sola volta nel corso dei primi dieci anni di attività professionale, passare da una carriera all’altra. La riforma, invece, vuole separare completamente le due carriere e vietare il passaggio dall’una all’altra anche nei primi anni di attività.
La legge approvata in Parlamento, inoltre, prevede una serie di modifiche al Consiglio Superiore della Magistratura legate proprio alla separazione delle carriere, tra le quali:
- l’istituzione di due Consigli superiori, uno per i magistrati e uno per i Pm;
- il sorteggio dei membri dei nuovi Consigli;
- l’istituzione di un’Alta Corte disciplinare che deciderà le sanzioni ai magistrati.
Mentre la maggioranza di Governo punta alla conferma della legge, il centrosinistra mira invece alla sua abolizione. Tra i contrari alla modifica costituzionale, si è schierata anche l’Associazione nazionale magistrati con il suo comitato per il no.
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