Reddito di inclusione 2024 al posto del Rdc: cos’è, differenze e come ha funzionato in passato

Simone Micocci

4 Gennaio 2023 - 15:33

Reddito di inclusione, ritorno in vista nel 2024? La ministra del Lavoro, Marina Calderone, ci punta per il post Reddito di cittadinanza.

Reddito di inclusione 2024 al posto del Rdc: cos’è, differenze e come ha funzionato in passato

Il post Reddito di cittadinanza, che ricordiamo verrà abrogato dal 2024, sembra avere già un nome: come spiegato dal ministro del Lavoro, Marina Calderone, infatti, dal prossimo anno si punterà nuovamente su una misura come il reddito d’inclusione.

Non è dato sapere se si chiamerà ancora reddito d’inclusione - probabile che il governo decida per un cambio nome così da rompere con il passato, visto che comunque il Rei fu introdotto da un governo di centrosinistra - oppure se semplicemente ne ripercorrerà il funzionamento; quel che è certo è che il sostegno statale verrà riconosciuto a un numero ristretto di famiglie.

Nel dettaglio, come spiegato dalla ministra in un’intervista rilasciata a La Stampa, obiettivo è distinguere gli strumenti per il contrasto alla povertà, difficoltà sociali o familiari, da quelli per l’accompagnamento al lavoro. Per i primi “si punterà a un reddito d’inclusione”, aggiungendo che dovrebbe essere rafforzato ed esteso rispetto al passato.

In attesa di capire che risvolti avranno queste dichiarazioni, ricordiamo come funzionava il Rei, cancellato nel 2019 proprio perché sostituito dal Reddito di cittadinanza, così da farsi un’idea di chi potrà beneficiare di un tale sostegno a partire dal prossimo anno, quando le disposizioni recanti il Rdc verranno abrogate.

Cos’era il reddito di inclusione?

Come alcuni dei nostri lettori ricorderanno, il reddito d’inclusione era una misura nazionale di contrasto alla povertà introdotta dal governo Renzi, ed entrata in vigore il 1° gennaio 2018, che si componeva di due parti: un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa e un contributo economico erogato mensilmente tramite una carta di pagamento elettronica.

Quindi, così come per il Rdc, anche per il reddito di inclusione il sostegno mensile veniva accreditato su un’apposita carta acquisti, la cosiddetta Carta Rei, con la differenza però che la domanda andava presentata direttamente al Comune di appartenenza. Ed è proprio questo un elemento su cui il governo Meloni sembra voler puntare, convinto che il Comune sia l’ente più adatto per la gestione degli aiuti alle famiglie, in quanto maggiormente informato sui bisogni del territorio.

Di che importi si parla?

Tuttavia, anche se per alcuni aspetti può sembrare simile all’attuale Reddito di cittadinanza, per il Rei gli importi riconosciuti alle famiglie erano molto più bassi. La somma erogata mensilmente dipendeva esclusivamente dal numero dei componenti del nucleo, non tenendo conto quindi del reddito familiare (come invece avviene per il Reddito di cittadinanza). Nel dettaglio, gli importi erano i seguenti:

Numero di componenti Importo
1 187,50€
2 294,50€
3 382,5€
4 461,25€
5 534€
6 o più 539,82€

Come assicurato dalla ministra del Lavoro, però, qualora si decidesse di tornare al reddito d’inclusione gli importi dovrebbero essere rivisti al rialzo, riconoscendo quindi un sostegno d’importo maggiore rispetto a quello previsto dal provvedimento originario.

A chi spettava il Rei

A poter beneficiare del Rei era solamente una parte della platea di coloro che oggi percepiscono il Rdc. I requisiti da soddisfare, infatti, erano molto più restrittivi rispetto a oggi in quanto il nucleo familiare doveva essere in possesso congiuntamente di:

  • Isee non superiore a 6.000 euro (per il Rdc 9.360 euro);
  • Reddito non superiore a 3.000 euro (per il Rdc 6.000 euro);
  • valore del patrimonio immobiliare non superiore a 20.000 euro, esclusa la casa di abitazione;
  • valore del patrimonio mobiliare non superiore a 10.000 euro, ridotto a 8.000 euro per la coppia e a 6.000 euro per la persona sola.

Inoltre, il Rei non era compatibile con la Naspi (mentre il Rdc lo è): bastava che un solo componente beneficiasse dell’indennità di disoccupazione, infatti, per escludere tutto il nucleo dalla possibilità di richiedere il reddito d’inclusione.

Anche in questo caso, però, è bene ricordare che Calderone ha annunciato una possibile revisione dei parametri di accesso al Rei, così da includere un maggior numero di beneficiari.

Come si poteva spendere il Rei

Ci sono delle analogie, ma anche delle differenze, tra il funzionamento del Rei e quello del Reddito di cittadinanza. Ad esempio, anche per il Rei era previsto un limite mensile per il prelievo in contanti, con una soglia di 240 euro. Il resto dei soldi poteva essere speso anche per mezzo di Pos, ma solo in alcuni negozi:

  • supermercati;
  • alimentari;
  • farmacie;
  • parafarmacie.

Quindi, la lista dei beni acquistabili con il Rei era molto più ristretta rispetto a quella del Reddito di cittadinanza, utilizzabile per tutto eccetto che per alcuni beni e servizi che rientrano nell’elenco delle spese non consentite.

Anche il Rei, poi, poteva essere utilizzato per pagare le bollette di luce e gas.

Il ruolo dei servizi sociali

Il Rei si rivolgeva solamente alle famiglie in grave condizione di povertà, ed è per questo che un ruolo prioritario veniva dato ai servizi sociali del Comune. Erano questi a coordinarsi con i servizi sanitari, i servizi per l’impiego e le scuole, come pure con i soggetti privati attivi nell’ambito degli interventi di contrasto alla povertà.

Un percorso quindi che esaminava, come tra l’altro previsto dal patto d’inclusione del Rdc, tutti i bisogni della famiglia, e non solo l’ambito lavorativo come invece avviene per la maggior parte dei beneficiari del Reddito di cittadinanza.

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