La startup svizzera Climeworks, pioniera nella cattura diretta del carbonio, colpita dalla crisi, annuncia il taglio del 20% del personale. Il progetto negli USA rischia lo stop.
La startup svizzera Climeworks, che negli ultimi anni si è imposta come leader mondiale nella tecnologia di cattura diretta dell’anidride carbonica dall’atmosfera (Direct Air Capture, DAC), sta attraversando una delle fasi più critiche dalla sua fondazione. A distanza di un solo anno dall’inaugurazione della sua nuova maxi-centrale in Islanda, l’azienda ha annunciato il licenziamento di circa il 20% della forza lavoro globale, pari a oltre 100 dipendenti su un totale di circa 500.
Una decisione motivata da “incertezze economiche” e da un “mutato contesto politico” che sta mettendo a rischio la sostenibilità e l’espansione del business, in particolare negli Stati Uniti, dove il clima politico è diventato meno favorevole agli investimenti green.
I due impianti islandesi di Climeworks, Orca e Mammoth, sono stati spesso presentati come “aspirapolvere giganti” capaci di ripulire l’aria dalle emissioni climalteranti. Tuttavia, i risultati finora ottenuti sono ben lontani dalle attese: Mammoth, inaugurato nel 2024 e progettato per catturare 36.000 tonnellate di CO₂ all’anno, nei primi dieci mesi di attività ne ha trattenute solo 750, mentre Orca non ha mai superato le 1.000 tonnellate annue dal 2021. Questi dati hanno sollevato dubbi sulla reale efficacia della tecnologia e sulla sostenibilità economica del modello di business.
Il caso Climeworks: tagli al personale e incertezze negli Stati Uniti
Il ridimensionamento della forza lavoro è stato accompagnato da un clima di crescente incertezza anche sul fronte internazionale. Il progetto di costruzione di un nuovo mega-impianto in Louisiana, che avrebbe dovuto essere il più grande al mondo, è ora in bilico. L’amministrazione Biden aveva promesso un finanziamento iniziale di 50 milioni di dollari, con la possibilità di arrivare fino a 600 milioni, ma con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e la sua linea ostile verso le politiche climatiche, i fondi federali sono a rischio e l’intero progetto potrebbe essere ridimensionato o cancellato.
Climeworks, che negli ultimi anni aveva raccolto oltre 800 milioni di dollari da investitori privati e firmato partnership con colossi come Morgan Stanley, TikTok e British Airways per la vendita di crediti di rimozione del carbonio, si trova oggi a dover rivedere i propri piani di espansione. L’azienda sta valutando alternative in Paesi come Canada, Arabia Saudita, Norvegia e Regno Unito, dove il contesto politico ed energetico appare più favorevole allo sviluppo della DAC.
Limiti tecnologici e sfide di mercato per lo sviluppo della DAC
Il caso Climeworks mette in luce le difficoltà strutturali che ancora affliggono il settore della cattura diretta del carbonio. Nonostante l’interesse crescente di aziende e governi per soluzioni di compensazione delle emissioni più credibili rispetto ai tradizionali crediti di carbonio, la DAC resta una tecnologia estremamente costosa: il costo attuale per tonnellata di CO₂ rimossa è di circa 750-1.000 dollari, ben lontano dall’obiettivo dichiarato di 100 dollari per tonnellata entro il 2030, recentemente rivisto al rialzo tra 250 e 350 dollari. Gli impianti islandesi, inoltre, hanno sofferto di problemi meccanici e di efficienza che ne hanno limitato la capacità operativa, costringendo l’azienda a pianificare aggiornamenti tecnici e a rivedere le proprie strategie di riduzione dei costi.
Nonostante le difficoltà, i vertici di Climeworks si dicono fiduciosi nel potenziale di lungo periodo della tecnologia e sottolineano come le attuali criticità siano tipici di un settore ancora in fase di sviluppo. “Abbiamo sempre saputo che sarebbe stata una sfida, stiamo attraversando un periodo difficile”, hanno dichiarato i co-CEO Christoph Gebald e Jan Wurzbacher.
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