Quella volta in cui Trony licenziò i suoi dipendenti via Whatsapp

Giorgia Paccione

2 Settembre 2025 - 10:22

Nel 2018 la catena di elettronica Trony, travolta dalla crisi e dalla concorrenza dell’e-commerce, annunciò la chiusura di 43 negozi e il licenziamento di 500 dipendenti con un messaggio su Whatsapp.

Quella volta in cui Trony licenziò i suoi dipendenti via Whatsapp

Il 16 marzo 2018, Dps Group, uno dei principali soci di GRE (Grossisti Riuniti Elettrodomestici) e gestore di numerosi punti vendita col marchio Trony, dichiarò fallimento e comunicò immediatamente la chiusura di 43 negozi distribuiti su tutto il territorio nazionale. La notizia culminò con un evento che fece molto discutere opinione pubblica e addetti ai lavori: Il licenziamento via Whatsapp di circa 500 dipendenti.

Ai lavoratori arrivò infatti un messaggio nel quale si invitava a non presentarsi più in sede perché le attività erano cessate. Non ci furono trattative con i sindacati né preavvisi formali: “La sede è chiusa, non presentatevi in negozio”, recitava il testo.

Si trattò di uno dei primi casi in Italia in cui un numero così elevato di dipendenti venne informato di un licenziamento collettivo tramite canali digitali. I territori maggiormente colpiti furono Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli e Puglia, con tanti lavoratori che da un giorno all’altro si trovarono senza lavoro privi di alcun tipo di paracadute sociale. In quella stessa settimana, i negozi erano già semivuoti, molti clienti erano in attesa di ricevere gli ordini pagati e giovani coppie temevano per le proprie liste nozze prenotate nei punti vendita chiusi. Ma cosa aveva portato a una fine così drastica?

Il caso del licenziamento collettivo e la crisi di Trony

Il caso dei licenziamenti via Whatsapp rappresentò solo l’epilogo di una crisi ben più profonda, che affondava le proprie radici negli anni precedenti. Già nel 2015 Trony aveva cercato di arginare le difficoltà introducendo contratti di solidarietà e riducendo l’orario di lavoro, ma la situazione economica non migliorò. Nell’estate del 2017 la società aveva anche tentato la strada della cessione di ramo d’azienda trasferendo 40 negozi a un’altra società controllata dalla stessa famiglia proprietaria, ma tale provvedimento si rivelò insufficiente per risollevare i bilanci.

Alla base della crisi c’erano motivazioni strutturali che coinvolgevano l’intero settore dell’elettronica di consumo in Italia e in Europa. L’esplosione degli acquisti online, trainata dai colossi dell’e-commerce come Amazon, aveva progressivamente eroso la clientela dei negozi fisici, rendendo insostenibile il modello tradizionale di distribuzione.

Anche altri marchi noti, come Mediaworld ed Euronics, avevano adottato misure straordinarie per adattarsi alla nuova realtà competitiva, riducendo il personale, chiudendo punti vendita e investendo nel commercio digitale.

Durante la crisi, il secondo soggetto coinvolto fu la GRE, proprietaria del marchio Trony e composta da 16 distributori. L’azienda chiarì che il fallimento di Dps riguardava solo una parte dei negozi con insegna Trony e che altri soci, non coinvolti direttamente, avrebbero continuato a operare autonomamente.

Il clima era però di forte preoccupazione anche per sindacati e istituzioni, che chiedevano interventi urgenti e soluzioni strutturali.

Come è finita la vicenda Trony

A seguito del fallimento e dei licenziamenti, la stampa riportò che la GRE, titolare del marchio Trony, aveva pianificato nel corso del 2018 l’apertura di circa 40 nuovi negozi, affermando che la crisi di Dps rappresentava solo una “piccola parte” dell’attività complessiva, grazie all’autonomia delle società facenti parte del gruppo. Tuttavia, il danno di immagine subito fu rilevante e la vicenda rimase a lungo simbolica dei rischi legati a una cattiva gestione delle crisi aziendali e delle trasformazioni nelle abitudini di acquisto portate dalla digitalizzazione.

Oggi la rete di negozi è affidata a diversi operatori che utilizzano il brand in franchising o come affiliati. Nel frattempo, molte delle grandi catene di elettronica, hanno ulteriormente sviluppato le proprie piattaforme online e investito nella trasformazione digitale delle attività.

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