Ecco in quali casi gli inquilini in affitto e anche i proprietari immobiliari possono essere sfrattati dalla propria casa.
La casa è uno dei beni primari per un cittadino, indispensabile per vivere e soddisfare le esigenze quotidiane.
Perdere la casa, ed essere sfrattati, è senza dubbio una delle paure più importanti per le famiglie, in particolar modo di chi vive in affitto e sente di avere minori garanzie. Di fatto, sfrattare un proprietario da casa è un’eventualità molto più rara e complessa, ma neanche in questo caso si può contare su garanzie assolute.
Tanto gli inquilini quanto i proprietari, infatti, possono essere sfrattati se ricorrono determinate condizioni, ovviamente molto differenti. Ecco a cosa fare attenzione.
Quando è possibile sfrattare l’inquilino in affitto
L’inquilino può essere sfrattato in diverse occasioni, molte delle quali abbastanza comuni. La legge italiana, in particolare, ammette lo sfratto dell’affittuario nelle seguenti ipotesi:
- morosità;
- finita locazione.
Queste categorie comprendono molte situazioni differenti tra loro, tutelando i locatori da molteplici inadempimenti dei conduttori. Lo sfratto per morosità, in particolare, è ammesso in caso di mancato pagamento del canone d’affitto o degli oneri accessori. A tal proposito, bisogna però sapere che non è sufficiente un lieve ritardo per mandare via l’inquilino. La legge ammette l’avvio della procedura di sfratto per morosità soltanto in queste ipotesi:
- l’affittuario è in ritardo di almeno 20 giorni dalla data pattuita per il pagamento del canone di locazione, anche per una sola mensilità;
- l’inquilino è in ritardo di almeno 60 giorni nel pagamento degli oneri accessori, come le spese condominiali, per un importo pari o superiore a due mensilità del canone di locazione.
Il mancato pagamento dell’affitto giustifica quasi sempre lo sfratto, indipendentemente dalle presunte motivazioni dell’inquilino, anche se l’esecuzione della procedura potrebbe richiedere del tempo. Oltretutto, se l’inquilino provvede a saldare il debito prima che sia avvenuto lo sfratto è facile che lo sfratto non venga convalidato.
L’inquilino non può però smettere di pagare il canone o ridurne l’importo arbitrariamente, nemmeno per compensare presunti danni o per riscuotere ipotetici rimborsi dovuti a spese sostenute e addebitabili al locatore. In questi casi, in mancanza di accordo, bisogna agire in sede giudiziale. La legge ammette il mancato pagamento dei canoni soltanto quando l’immobile è inutilizzato ed effettivamente inutilizzabile, una circostanza più che rara, e ammesso che l’inquilino non abbia accettato tali condizioni.
Lo sfratto dell’inquilino può essere richiesto anche se l’immobile non viene liberato al termine del contratto di locazione.
Può trattarsi della scadenza naturale del contratto, ma anche di una risoluzione anticipata se avvenuta a norma di legge. Il proprietario, nel dettaglio, può anticipare la fine del contratto soltanto contestualmente alla scadenza e con un preavviso di almeno 6 mesi per evitarne il rinnovo. Ciò può avvenire contestualmente alla prima scadenza soltanto se ricorrono circostanze particolari e documentate, in sintesi:
- la necessità dell’immobile per sé o propri congiunti;
- la disponibilità di un altro immobile in cui abitare da parte dell’inquilino;
- il mancato utilizzo dell’immobile senza giustificato motivo;
- la vendita, rispettando il diritto di prelazione;
- la necessità di svolgere lavori di ricostruzione, trasformazione e similari.
Quando possono sfrattare un proprietario
Di norma, il proprietario di casa non può essere sfrattato.
Questo perché nella stragrande maggioranza dei casi è anche titolare del diritto abitativo sullo stesso immobile.
Allo stesso tempo, può accadere che i diritti non coincidano. Per esempio, c’è chi possiede soltanto la nuda proprietà dell’immobile mentre l’usufrutto spetta ad altre persone, come previsto da un contratto, da un testamento o da una donazione.
Altrimenti, il diritto di abitazione potrebbe spettare a un determinato soggetto su decisione del giudice o di un contratto. Ciò accade di solito dopo le separazioni con l’assegnazione della casa familiare oppure con il diritto di abitazione del coniuge superstite, nell’ipotesi in cui l’eredità dell’immobile passi a diversi eredi. In queste situazioni il proprietario, pur conservando i suoi diritti, non può abitare l’immobile senza il consenso del titolare del diritto di godimento.
Di conseguenza, può anche essere sfrattato e all’occorrenza allontanato con l’ausilio delle forze dell’ordine. A seconda del motivo per cui non sussiste il diritto abitativo è comunque possibile intentare una causa civile per riappropriarsi della piena disponibilità dell’immobile, se ricorrono i presupposti. Infine, il proprietario può essere sfrattato anche nelle ipotesi di espropriazione forzata a seguito di un pignoramento, ma in questo caso non è pienamente titolare dell’immobile.
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