Gli shock geopolitici spingono in alto i prezzi del greggio, ma la storia dimostra che senza interruzioni gravi alla produzione, l’impatto macroeconomico resta contenuto.
Nel corso dell’ultimo anno, il rischio geopolitico è stato tra le principali preoccupazioni degli investitori. Un concetto spesso usato in modo generico — e in certi casi come eufemismo per le politiche tariffarie americane — che oggi torna alla ribalta in una delle sue forme più classiche: la minaccia che un conflitto in Medio Oriente metta a rischio l’offerta globale di petrolio.
Con l’attacco israeliano agli impianti nucleari iraniani, seguito da un colpo diretto a un terminal petrolifero a Teheran, il prezzo del greggio è salito del 12% in poche ore. L’Iran, che produce circa 3,3 milioni di barili al giorno (di cui due milioni destinati all’esportazione), rappresenta una quota significativa ma gestibile del mercato globale, considerando la capacità di aumento rapido della produzione da parte di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, che insieme possono aggiungere oltre 3,5 milioni di barili al giorno.
Tuttavia, ciò che spaventa non è tanto un taglio diretto della produzione, quanto il rischio che Teheran possa decidere di chiudere lo Stretto di Hormuz — da cui transita circa il 20% del petrolio mondiale — o colpire le infrastrutture energetiche dei paesi vicini. [...]
Accedi ai contenuti riservati
Navighi con pubblicità ridotta
Ottieni sconti su prodotti e servizi
Disdici quando vuoi
Sei già iscritto? Clicca qui
© RIPRODUZIONE RISERVATA