Fino a quando si può cambiare un vestito difettoso o che si rompe dopo poco tempo

Ilena D’Errico

6 Gennaio 2023 - 22:42

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Il vestito nuovo è difettoso? Si rompe dopo poco tempo dall’acquisto oppure è eccessivamente differente rispetto alla pubblicità? Ecco fino a quando si può cambiare.

Fino a quando si può cambiare un vestito difettoso o che si rompe dopo poco tempo

Acquistare un vestito per poi scoprire che è difettoso, rotto o diverso da quanto proposto dal venditore è sicuramente molto fastidioso, oltre che un vero e proprio spreco di denaro, che può essere evitato cambiando il prodotto o richiedendo un rimborso. La legge in tutela del consumatore definisce infatti la garanzia legale, che determina anche il momento fino a quando si può cambiare un vestito danneggiato o rotto.

La garanzia legale ha in genere una durata di 2 anni per qualsiasi acquisto di un bene mobile, proprio come i vestiti. La modalità di risarcimento del consumatore, così come la tempistica entro cui deve essere fatta la richiesta, cambiano però a seconda delle condizioni specifiche.

Vestito difettoso: fino a quando può essere cambiato

La garanzia legale può essere esercitata entro 26 mesi dall’acquisto di un vestito difettoso. La legge, difatti, tiene conto del periodo di 2 anni di validità generale della garanzia, al quale si aggiungono ulteriori 2 mesi, tempo entro cui il consumatore deve notificare il difetto osservato al venditore. Ovviamente, tuttavia, la scoperta del difetto può avvenire esclusivamente entro il 24° mese, ed è per questa ragione che il tempo totale di validità della garanzia è pari a 26 mesi.

Questo tempo può comunque essere differente, ad esempio nel caso di vestiti usati, per i quali di norma la garanzia legale scende a 12 mesi, per un totale di 14 mesi entro cui è fondamentale esercitare il proprio diritto. Se la garanzia legale è invece scaduta, vale comunque la pena controllare la garanzia convenzionale sottoscritta direttamente dal produttore, che nella maggior parte dei casi è molto più lunga di quella prevista dal venditore.

In ogni caso, a prescindere della responsabilità effettiva del difetto, la richiesta deve essere presentata esclusivamente al venditore. Quest’ultimo si pone infatti come intermediario fra l’acquirente e il produttore, oltre ad avere precisi doveri legali nei confronti nei suoi clienti.

Di regola, quando il difetto viene riscontrato nei primi 6 mesi la responsabilità ricade sul produttore, ma questo non cambia nulla per il consumatore, che ha sempre il diritto di rivolgersi al venditore. Quest’ultimo poi, se ne ha il diritto, può rivolgersi in secondo luogo al produttore per ottenere il risarcimento.

Dunque il venditore non può rifiutarsi di occuparsi dei vestiti danneggiati, a meno che non manchi la prova d’acquisto. Quest’ultima deve essere necessariamente presentata al venditore per esercitare la garanzia, ed è costituita da qualsiasi documento (anche in fotocopia) che provi l’acquisto, come:

  • Fattura.
  • Scontrino.
  • Libretto.

In presenza di uno di questi documenti il venditore non può assolutamente rifiutarsi di provvedere ai rimedi spettanti al consumatore, perciò in caso di rifiuto quest’ultimo può chiedere l’intervento della Polizia municipale o dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

I rimedi della garanzia legale

La garanzia legale esercitata nei termini permette quindi di accedere a una serie di diritti del consumatore, nel dettaglio:

  • I rimedi primari, ossia la riparazione o la sostituzione del vestito difettoso in modo completamente gratuito, e in tempi congrui a non aumentare i disagi per il consumatore.
  • I rimedi secondari, invece, vengono attuati nei casi in cui non è possibile procedere alla riparazione o alla sostituzione in tempi adeguati, oppure nel caso in cui il rimedio primario sarebbe eccessivamente oneroso per il venditore. I rimedi secondari sono dunque il rimborso completo o la riduzione del prezzo.

Oltretutto è bene sapere che questa disciplina non si applica soltanto quando il vestito si rompe o è difettoso, bensì anche quando risulta differente rispetto all’immagine fornita dalla pubblicità. La pubblicità ingannevole, peraltro, costituisce un illecito civile, con sanzioni anche gravose.

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