Quale prezzo deve pagare l’Italia per il suo futuro?

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Qual è il prezzo del futuro che l’Italia deve pagare per tornare a essere competitiva? Ne abbiamo parlato con Alan Friedman, autore di “Il prezzo del futuro”.

Il nostro Paese è davvero in grado di reagire con tempestività solo in situazioni emergenziali, e non tutte? Guardiamo alla ricostruzione del Ponte Morandi, una tragedia che il 14 agosto 2018 costò la vita a 43 persone, causando danni economici per 422 milioni di euro, come stimato da imprese e professionisti a distanza di sei mesi dal crollo.

Inaspettatamente, in quell’occasione il nostro Paese tirò fuori risorse economiche e operative incredibili e dall’avvio dei lavori passarono solo 12 mesi per la nuova inaugurazione. Perché quest’anima risolutiva non riesce a emergere oggi che dobbiamo allocare oltre 200 miliardi di euro derivanti dal PNRR e dai fondi europei e che ci traghetterebbero verso un futuro più luminoso?

Ne abbiamo parlato durante l’ultima puntata di Book Calling con Alan Friedman, noto giornalista esperto di economia e autore del libro “Il Prezzo del Futuro” edito da La nave di Teseo.

Il PNRR è già un’occasione persa?

Il PNRR in bilico tra occasione unica per l’Italia, impegnata a ridisegnare se stessa come nazione finalmente efficiente e produttiva, e difficile sfida contro le endemiche criticità del Belpaese: questo è quanto emerge dal libro e dalla chiacchierata con l’autore.

Sebbene pubblicata nel 2022, l’opera di Friedman si cala perfettamente nell’attualità italiana, alle prese con ritardi attuativi, ostacoli burocratici, incapacità di spesa, attriti con i canoni imposti dall’Ue per completare il piano di riforme e investimenti man mano programmato dal PNRR e accedere alle varie tranche di prestiti.

Il punto del dibattito è se la nazione italiana riuscirà a scrollarsi di dosso l’etichetta di Paese appesantito dal debito e immobile nelle riforme strutturali. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sta mettendo in riga l’Italia verso le sfide globale della transizione energetica e digitale?

I dubbi restano e Alan Friedman spiega che il “prezzo del futuro” da pagare - e la scommessa - per l’Italia è la capacità di “fare le riforme necessarie nella struttura spesso corporativista dell’economia italiana”. Il sentiment è già di un mezzo fallimento quando si sente il ministro Fitto, incaricato alla gestione del PNRR dal Governo Meloni, dichiarare che è impossibile spendere tutti i soldi che devono arrivare da Bruxelles o che bisogna fare dei tagli, come accaduto ai 16 miliardi di euro tolti alla spesa per dissesto idrologico e ambiente. Tuttavia, il Paese non è senza speranza e Friedman tira in ballo “la sua ammirazione per il genio italiano, la creatività, la fantasia, l’innovazione, la capacità di piccoli imprenditori di creare delle meraviglie”.

Produttività e programmazione: il successo passa da qui, ma non in l’Italia

La consapevolezza è che queste attitudini tutte italiane, però, non bastano per la rivoluzione che il Paese si appresta a compiere con il piano europeo da 200 miliardi di euro. Gli obiettivi sono molto ambiziosi e si racchiudono in parole chiave quali produttività, parità di genere, efficienza.

Cos’è la produttività? Per spiegare come si può raggiungere in Italia, “metto insieme alla produttività l’efficienza, la mancanza di donne manager, il basso livello di occupazione femminile nell’economia italiana”, sottolinea Friedman.

Dalla Banca d’Italia alle istituzioni europee è un continuo dimostrare, come ricorda il giornalista, che laddove c’è più occupazione femminile c’è più crescita e si mette in moto un effetto moltiplicatore di benefici. Ma l’Italia resta indietro in questi ambiti. Da una parte ci sono ancora troppi pochi servizi come gli asili nido soprattutto al Sud e troppe poche sono le grandi aziende con a capo donne manager. Dall’altra, ci sono fattori culturali, con una tradizionale tendenza al maschilismo e al patriarcato che secondo Friedman può giustificare il 20% in meno delle paghe delle donne rispetto agli uomini.

A questo si aggiunge l’incapacità cronica del Paese a spendere le risorse europee, con una mancanza preoccupante di programmazione efficiente. Friedman ha le idee chiare:

Gli italiani sono brillanti a risolvere un’emergenza, ma non a pianificare un progetto strategico, a programmare, ad accompagnarlo in modo molto puntiglioso per un periodo lungo.

Quando circa il 50% delle risorse europee restano ferme e non vengono spese, come accade in Italia, c’è un grave problema che mina la fiducia nell’attuazione del PNRR. Friedman offre una sintesi sconfortante: la burocrazia italiana, la pubblica amministrazione che non funziona, le inefficienze della corruzione e le tangenti che ancora esistono, il modo di mischiare affari e politica, la mancanza di procedure per gli appalti trasparenti e più snelli sono i grandi problemi italiani.

Fare le riforme del PNRR, adesso!

Tirando le somme, l’Italia ha estremamente bisogno del PNRR e di riforme non più rimandabili.

Per Friedman mettere insieme le riforme del fisco, della concorrenza, del codice degli appalti, della modernizzazione dell’economia si traduce in produttività. Ma attenzione, avverte il giornalista:

Temo che alcune delle riforme chiave che possono contribuire a modernizzare l’efficienza dell’economia, la trasparenza del mercato e la concorrenza saranno riforme diluite, annacquate, inadatte e insufficienti

Dalle riforme più impopolari riguardanti per esempio le concessioni balneari e le licenze dei tassisti a quelle sulla risoluzione definitiva della lentezza giudiziaria e sull’evasione fiscale, una vera piaga per l’economia nazionale, il PNRR deve andare avanti spedito. In gioco, il “prezzo per il futuro”, c’è la credibilità dell’Italia in un mondo che sta velocemente cambiando.

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