Come sta evolvendo il brand journalism? È ancora possibile un dialogo etico e responsabile tra aziende e chi fa informazione? Ne parliamo con Ilario Vallifuoco, Founder del Brand Journalism Festival.
In un’epoca connotata da un’informazione sempre più liquida e fugace dove si è tornati a gareggiare più agguerriti e feroci che mai attraverso il titolo più sensazionalistico e “acchiappa click” e dove, soprattutto, la pura informazione a volte perde i confini con comunicazioni di natura commerciale, senza che venga opportunamente segnalato alla propria audience, c’è chi ha deciso di andare controcorrente e di mettere le cose in chiaro.
E lo fa organizzando una manifestazione, di cui anche noi di Money.it, siamo media partner dedicato al Brand Journalism con l’intento di interrogarsi e chiarire i confini che queste due tipologie di comunicazione devono avere e restituire alla propria utenza un’informazione etica e pulita. Ne abbiamo parlato attraverso un’intervista dedicata con Ilario Vallifuoco, Founder del Brand Festival Journalism e di Social Reporters - Live Brand Journalism.
D: Il prossimo 12 novembre presso il Talent Garden di Roma Ostiense ci sarà la prima edizione del Brand Journalism Festival, iniziativa firmata da Social Reporters, la tua azienda. Cosa ti ha spinto a organizzare questa manifestazione che, per certi versi, potrebbe risultare “scomoda” all’ecosistema della stampa?
R: Siamo tutti in una condizione “scomoda”, stampa, lettori e aziende. Società per meglio dire. L’organizzazione di questo evento è finalizzata a disambiguare il rapporto tra aziende e media per una maggiore trasparenza verso i destinatari dei contenuti. È una discussione che coinvolge editori, giornalisti e comunicatori aziendali a trovare traiettorie più etiche e più responsabili. È un evento di scopo all’interno del quale trovano spazio tutte le sensibilità. Con Social Reporters offriamo da anni servizi di produzione video mutuando tecniche giornalistiche a favore della comunicazione corporate, ma ci sono anche altri linguaggi, metodi e strategie che a mio avviso vanno raccontati e messi al centro del dibattito.
D: Com’è cambiato secondo te negli ultimi anni il comparto dell’informazione? In cosa ha eccelso e, soprattutto, in cosa ha fallito?
R: Non mi occupo di informazione ma di comunicazione corporate. Credo che un contributo importante per capire cosa sia cambiato nel comparto dell’informazione sia quello di comprendere la grammatica dei social media e dei motori di ricerca. Dana Boyd, ricercatrice statunitense aveva 10 anni fa circa elencato 4 caratteristiche: persistenza, replicabilità, scalabilità e ricercabilità. Se a questo aggiungiamo la parcellizzazione dei contenuti e micro-momenti, capiamo come per ragioni di affollamento il livello di attenzione e quindi di approfondimento sia notevolmente diminuito. A queste dinamiche spesso si risponde con un adattamento inevitabile guidato da dinamiche economico-finanziarie che purtroppo hanno un impatto di lungo periodo su quello che il Filosofo Floridi definisce una “società matura dell’informazione”. Andrebbe messo al centro del dibattito la dimensione etica che supera quella di profitto e su questo abbiamo dedicato un panel all’interno dell’evento.
D: Secondo te come può e deve l’industry mediatica rendersi accattivante oggi per i giovani e fare in modo che riconoscano il valore di una buona informazione? Non legge quasi più nessuno e ci si limita a una fruizione molto fugace e frugale, complici anche i social e cattive consuetudini ereditate dal Web. C’è ancora speranza di vedere rispettato il patto di etica e qualità tra chi scrive e legge?
R: Non ci deve essere speranza, ma ambizione e desiderio che sono dimensioni che non possono essere affidate a intelligenze artificiali. La ricostruzione del senso deve anticipare quella del (con)senso e di conseguenza costruire l’architrave di una nuova società a prova di presente. L’industry mediatica deve evitare i costanti salti nel futuro perché rischiano di non essere sostenibili per chi riceve contenuti e informazione. Il Brand Journalism Festival si propone in prima istanza di raccogliere tutte le sensibilità e di proporre una sintesi prospettica e programmatica su assetti normativi, organizzativi, strategici che ridisegnano la catena del valore dell’informazione e della comunicazione in chiave redistributiva della conoscenza. Per rendersi accattivante ai giovani l’industria mediatica deve mettere al centro i giovani, questo non può passare attraverso un post a loro dedicato. Ma bisogna farli entrare attivamente nelle scelte editoriali, di linguaggio, e capirne i nuovi codici simbolici. Co-creare con loro è essenziale per recuperarne fiducia e credibilità.
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