I ministri dell’Energia tornano a riunirsi ma, alla luce del fondo-monstre di Berlino, se Bruxelles non garantirà emissioni comuni a copertura del gap con il costo di mercato, il Re Draghi sarà nudo
Be careful what you wish for. You may get it. Tradotto, attento a ciò che desideri, perché potresti trovarlo. Mai come in questa occasione, saggezza assoluta. Perché nel breve arco di tempo necessario a far andare di traverso il pranzo, ieri il governo italiano - vecchio e in progress - si è trovato a fare i conti con una realtà capovolta: il possibile accordo sul price cap che si tenterà di raggiungere oggi al Consiglio straordinario dei ministri europei dell’Energia potrebbe tramutarsi nel classico coltello da prendere al volo. O, se si preferisce, la classica arma a doppio taglio.
E la ragione, volendo terminare così la collezione di figure retorica, sta nel fuoco amico che la Germania ci ha scaricato addosso. A freddo. Senza preavviso. Annunciando la riattivazione del fondo creato per il contrasto alla pandemia e la sua dotazione con un arsenale di liquidità fra i 150 e i 200 miliardi di euro per tamponare il caro-energia a livello nazionale, Berlino non solo depotenziava l’appuntamento odierno e la spinta propulsiva al raggiungimento di una risposta condivisa alla crisi energetica ma trasformava appunto il price cap in una trappola per topi.
Se infatti l’Ue superasse veti e interessi e fissasse il tetto al prezzo del gas, l’Italia dovrebbe infatti ottenere che l’Europa si faccia carico del gap finanziario che si creerà fra cap e valutazione sullo spot market attraverso emissioni di debito condiviso come per la lotta al Covid. Altrimenti, quel differenziale di fondi ricadrebbe in capo ai vari Stati membri. E il bluff italiano cadrebbe come un castello di carte, poiché Roma non ha in cassa le disponibilità necessarie. Unica opzione, il ricorso a uno scostamento di bilancio emergenziale che si tradurrebbe in tempo reale nello stigma che proprio Mario Draghi ha voluto evitare cocciutamente in sede di DL Aiuti-bis.
Non a caso, a stretto giro di posta uno dall’altro, ecco come il nostro Paese ha reagito alla mossa tedesca: disappunto tutt’altro che celato, Anzi, per una volta, volutamente espresso in maniera chiara, ancorché educata e formale. Per dirla chiara, Mario Draghi ha letteralmente perso le staffe con Olaf Scholz.
Crisi energetica in Europa, dichiarazione del Presidente Draghi ⤵️https://t.co/p5MZEEyVD1 pic.twitter.com/c9b9UrmJ6H
— Palazzo_Chigi (@Palazzo_Chigi) September 29, 2022
Meloni: "I partiti italiani siano compatti sull'energia. Serve subito una risposta Ue". Pressing della Lega per il Viminale - La diretta politica https://t.co/NUzgnX1VZs
— Repubblica (@repubblica) September 29, 2022
La decisione della Germania sul gas conta più di tutte le parole critiche sull’Europa sentite negli ultimi 10 anni, perché è un atto, preciso, voluto, non concordato, non condiviso, non comunicato, che mina alla radice le ragioni dell’Unione.
— Guido Crosetto (@GuidoCrosetto) September 29, 2022
E se il comunicato di Palazzo Chigi e quello di Giorgia Meloni appaiono frutto di una linea concordata, a tal punto da essere pressoché sovrapponibili, il ghost operator di Fratelli d’Italia nella difficile mediazione per la nascita della squadra di governo mixa abilmente rivendicazione di un europeismo autentico e solidale (lo stesso che gli organismi comunitari hanno definito in pericolo, a causa della vittoria di Fratelli d’Italia) con una nemmeno troppo velata eliminazione di sassolini dalla scarpa delle polemiche interne. Perché la trionfale e trionfalistica visita di Enrico Letta proprio a Olaf Scholz è ancora viva nella memoria di tutti.
Resta un fatto. Anzi, due. Oggi l’intero impianto della narrativa del governo dei Migliori rispetto alla questione energetica rischia di crollare. E il Re di mostrare giocoforza la sua nudità. Perché dopo la negazione di misure d’emergenza necessarie per l’inverno, smentita oggi dai razionamenti e da bollette in aumento del 59% nell’ultimo bimestre dell’anno, ciò che appare palese è la prezzatura immediata da parte del mercato di una nostra potenziale incapacità finanziaria nel dare seguito e applicazione concreta a quel medesimo price cap per mesi richiesto, stimolato, rivendicato e agognato. Insomma, lo spread non ne gioverebbe.
Perché al netto del deficit di credibilità politica, sorgerebbero dubbi concreti e immediati sullo stato di salute delle casse pubbliche e in subordine sulla magnitudo di impatto produttivo e occupazionale di un’eventuale, obbligata prosecuzione lungo la strada attuale di approvvigionamento sullo spot market senza paracadute. Con la Norvegia ben felice di garantirci flussi a peso d’oro e una Commissione Ue che, nel frattempo, si premura di varare l’ottavo pacchetto di sanzioni contro Mosca in reazione all’incidente a Nord Stream. Al suo interno, lavatrici, cosmetici e carta igienica. E non è uno scherzo.
E il fatto che una mossa unilaterale, politicamente spartiacque e palesemente emergenziale nel controvalore delle risorse messe in campo come quella del governo tedesco abbia comunque lasciato il prezzo del gas ad Amsterdam in area 190 euro MWh in chiusura di contrattazioni, la dice lunga proprio sul sentiment sempre più negativo - o semplicemente realista e pragmatico - con cui il mercato sta approcciandosi all’approssimarsi dell’inverno. E del conseguente redde rationem verso un mondo senza Gazprom. Insomma, attenzione a ciò che cerchiamo. Oggi potremmo trovarlo. E pentircene amaramente.
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