Rutte avverte l’Europa: dobbiamo prepararci a una guerra come quella dei nostri nonni. Minacce ibride, rischio escalation devono spingere difesa e mentalità collettiva.
Volto teso, parole pesanti, tono senza mezze misure. Il segretario generale della NATO, Mark Rutte, ha lanciato un monito che suona come un risveglio da un lungo torpore. Alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza che si è svolta oggi, Rutte ha avvertito gli alleati:
“Dobbiamo essere pronti a una guerra su scala come quella che i nostri nonni e bisnonni hanno vissuto”.
“Siamo il prossimo bersaglio della Russia”, ha scandito, denunciando come troppi all’interno dell’Alleanza guardino al futuro con compiacenza, convinti che “il tempo giochi a nostro favore”. Ma “non è così”, ha avvertito, “il conflitto è già alla nostra porta ”.
L’allarme di Rutte non è isolato
L’allarme di Rutte non è isolato. È da incastonare in un contesto di crescente tensione, sospetti sabotaggi, attacchi ibridi e timori reali che il conflitto in Ucraina possa espandersi ben oltre i suoi confini.
Ma l’olandese non si limita alle parole. Lo scorso anno, in un discorso ai parlamentari europei, aveva già spiegato che l’attuale soglia del 2% del PIL destinata alla difesa da parte dei membri della NATO “non è affatto sufficiente”. Serve molto di più per garantire la sicurezza dei popoli europei.
All’inizio del 2025, l’Alleanza aveva definito un obiettivo ambizioso, quello di raggiungere il 5% del PIL per la difesa entro il 2035. Un passo che, secondo Rutte, è necessario per dotarsi di mezzi adeguati - aerei, navi, droni, sistemi di difesa, capacità spaziali e cibernetiche - e per rilanciare una industria difensiva europea capace di produrre rapidamente la tecnologia necessaria.
La sua invocazione è chiara. Non si tratta di essere aggressivi, bensì pronti. “Pace attraverso la forza”, come lui stesso ha detto. Una posizione sempre più vicina a una deterrenza forte, come quella pensata durante gli anni della Guerra fredda.
Il pericolo è reale. Una guerra convenzionale, ibrida, psicologica
Secondo Rutte, la minaccia russa non riguarda solo la guerra convenzionale. Le armi del futuro come cyberattacchi, disinformazione, sabotaggi, sciami di droni sono già in azione:
“Le minacce ibride e informatiche sono quelle più attuali”.
E se qualcuno pensa che la NATO sia già preparata, si sbaglia:
“Siamo militarmente pronti. Ma la preparazione non riguarda solo eserciti e armamenti: riguarda la nostra mentalità, la resilienza delle nostre società, la volontà politica, l’industria, il tessuto economico.”
Durante la conferenza, Rutte ha chiarito che l’Alleanza deve essere pronta a rispondere con forza se un paese membro, per esempio la Polonia, venisse attaccato. Qualsiasi aggressione riceverebbe “una reazione devastante”.
L’Europa (e l’Italia) sotto choc, la pace in bilico
Quelle di oggi non sono catastrofistiche ipotesi da analisti esterni, ma parole che provengono del capo della NATO, la cui autorità e responsabilità non ammettono leggerezze. In un momento storico già segnato da crisi energetiche, instabilità economica, tensioni diplomatiche e timori di escalation, l’avvertimento di Rutte suona come un campanello d’allarme. L’Europa potrebbe trovarsi di nuovo a fare i conti con una guerra su larga scala.
Per Paesi come l’Italia, membro NATO e geograficamente al centro del Mediterraneo, la chiamata alla vigilanza risuona con particolare forza. Servono strategie di difesa aggiornate, investimenti industriali, alleanze e - soprattutto - la dovuta preparazione da parte della società. Eppure, in molti Paesi europei l’idea che “una guerra come quella dei nostri nonni” possa tornare a bussare alle porte sembra quasi politicamente impopolare. Rutte ha scelto deliberatamente parole forti, perché la paura, in certi casi, non basta: serve consapevolezza.
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