Perché la settimana lavorativa di 6 giorni deve arrivare in Italia

Simone Micocci

04/07/2024

Ma quale settimana corta: all’Italia servirebbe aumentare le ore di lavoro. Solo così potrà crescere la produttività.

Perché la settimana lavorativa di 6 giorni deve arrivare in Italia

Il governo greco ha preso un’importante decisione: ha esteso l’orario di lavoro settimanale, rendendo più agevole passare da 40 a 48 ore. Una decisione che sembra essere in controtendenza rispetto invece alle proposte di riduzione della settimana lavorativa che secondo i promotori di questa misura dovrebbe passare da 5 a 4 giorni mantenendo inalterato il salario.

Se ne parla anche in Italia, per quanto il governo non l’abbia posta in cima alla proprie priorità.

Ed è un bene, perché a oggi la settimana corta rischia di comportare un danno alla nostra economia che paradossalmente avrebbe piuttosto bisogno di prendere esempio dalla Grecia per rilanciarsi.

Perché seppur impopolare tra i lavoratori, per quanto in realtà anche questo è un aspetto opinabile dal momento che consente di guadagnare di più, la settimana lunga sarebbe d’aiuto per risolvere alcuni grandi problemi che caratterizzano il nostro mercato del lavoro: in primis la scarsa produttività, in parte legata anche alle difficoltà delle aziende di reclutare personale altamente specializzato per ricoprire dei ruoli fondamentali al fine di mantenere costante il ciclo produttivo.

L’Italia e il problema della scarsa produttività

Uno dei fattori determinanti per quantificare la crescita di un Paese è la produttività, ossia quanto effettivamente le attività lavorative incidono sull’economia del Paese.

Un dato che non sorride all’Italia, poiché nelle varie classifiche sulla produttività, dove ad esempio viene effettuato un rapporto tra Pil e numero di lavoratori e ore complessivamente lavorate, l’Italia si posiziona al centro classifica, lontani dalle altre principali economie europee (con la sola eccezione della Spagna che si trova ad affrontare più o meno i nostri stessi problemi).

Il tutto nonostante nel nostro Paese generalmente un lavoratore risulti essere impiegato, in media, per più ore. Basti pensare che secondo i dati del 2023, in Italia le ore lavorate per occupato sono state pari a 1.734, rispetto alle 1.342 della Germania e alle 1.500 della Francia.

Quindi, nonostante in Italia si lavori di più, si produce meno. C’è quindi una scarsa produttività oraria, la quale può dipendere da una serie di fattori:

  • ad esempio il fatto che l’Italia sia ancora indietro rispetto ad altri Paesi per quanto riguarda il progresso tecnico nel mondo del lavoro. I nostri lavoratori dispongono infatti di strumenti meno innovativi rispetto a quanto invece accade negli altri Paesi;
  • va detto anche che ci sono settori più produttivi rispetto ad altri, più remunerativi per intenderci. E il problema è che in Italia c’è alta concentrazione di lavoratori specialmente in quelli che lo sono meno, come ad esempio quello turistico, come pure nell’agricoltura.

Due “problemi” che richiedono tempo per poter essere risolti e non è neppure detto che ci si riesca in quanto alcune caratteristiche sono peculiari del nostro contesto produttivo. È ovvio, d’altronde, che vista la povertà di materie prime l’economia del nostro Paese si sviluppi perlopiù in quei settori che ci permettono di sfruttare il materiale a disposizione, ossia le bellezze del territorio e la nostra rinomata cucina.

Nel settore industriale siamo ancora indietro, anche perché la normativa fiscale non ci aiuta ad attrarre aziende estere (anzi, semmai sono quelle italiane che si trasferiscono).

Senza dimenticare poi che mancano i lavoratori specializzati per poter portare avanti determinati cicli produttivi. Secondo l’ultima rilevazione Censis Confcooperative, infatti, in Italia mancano 316.000 lavoratori qualificati: persone che le aziende sarebbero disposte ad assumere immediatamente, ma che non riescono a trovare. Un problema che costa al nostro Paese 28 miliardi di euro, l’1,5% del Pil.

La settimana lavorativa di 6 giorni potrebbe essere d’aiuto?

Come visto sopra il problema della scarsa produttività non è dovuto al fatto che in Italia si lavori poco.

Tuttavia, è anche vero che per raggiungere gli stessi standard produttivi delle altre grandi economie europee, in Italia bisogna lavorare per più ore.

Cosa ci dice questo? Che o si interviene su quei fattori che fanno sì che a parità di ore lavorate nel nostro Paese si produce meno rispetto ad altri, oppure così come è stato fatto dalla Grecia si deve trovare un modo per incrementare le ore lavorate, almeno per il tempo necessario a mettere in atto quelle politiche necessarie per risolvere le altre problematiche che caratterizzano il nostro mercato del lavoro.

Anche perché incrementare il limite orario portandolo a 48 ore consentirebbe anche di guadagnare di più rispetto a oggi, specialmente laddove dovessero essere previsti dei maxi incentivi come in Grecia (dove ad esempio il lavoro di sabato verrà remunerato al 40%, mentre di domenica persino al 115%).

Una soluzione che sarebbe d’aiuto anche per quelle aziende che hanno difficoltà a trovare personale specializzato, le quali potrebbero far lavorare per più tempo chi è già assunto così da non dover interrompere i cicli produttivi.

Insomma, per quanto al momento non sia nei programmi del governo Meloni, riteniamo che una soluzione come quella presa dalla Grecia (che dal post crisi del 2009 ha intrapreso una crescita notevole) potrebbe essere d’aiuto alla nostra economia. Sicuramente più della settimana corta, che proprio per le ragioni sopra indicate non sembra essere un’ipotesi plausibile, dal momento che rischia di avere un impatto significativo, e negativo, sulla crescita.

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