Perché l’Italia dice no allo stop auto a benzina dal 2035: cosa rischia l’industria?

Violetta Silvestri

01/03/2023

01/03/2023 - 11:52

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Italia contraria allo stop delle auto a benzina e diesel dal 2035: si apre il dibattito in Ue, perché l’industria automotive rischia? Quali svantaggi per il nostro Paese? Alcune considerazioni.

Perché l’Italia dice no allo stop auto a benzina dal 2035: cosa rischia l’industria?

Italia contro lo stop delle auto a benzina e diesel nel 2035: perché il nostro Paese si è opposto al piano green dell’Ue, votato dal Parlamento europeo?

Il tema è cruciale nello sforzo dell’Unione ad avviare la transizione verde e per questo sta suscitando riflessioni, dubbi, criticità da parte di Paesi importanti come il nostro e la Germania, per esempio.

La notizia del giorno racconta che il Coreper (Rappresentanti Permanenti aggiunti) non tratterà oggi, come prima previsto, la questione del regolamento sulle emissioni di Co2 di auto e furgoni nuovi a diesel e benzina con il conseguente tema dello stop nella vendita di veicoli con questi carburanti nel 2035.

Tutto è rimandato al 3 marzo, non appena è apparso chiaro che si sarebbe delineata una minoranza contraria all’approvazione. Il no determinato dell’Italia si è aggiunto a quello di Polonia e Ungheria, affiancandosi a riserve poste dalla Germania.

Cosa rischia l’industria italiana nella rivoluzione del settore auto che l’Ue vuole attivare dal 2035? Perché l’elettrificazione dei veicoli tra circa 10 anni è vista con scetticismo?

Italia contro Ue sullo stop delle auto inquinanti nel 2035? Cosa succede

L’agenda verde dell’Ue scricchiola e l’Italia è tra le principali artefici di un ripensamento del piano per eliminare le auto con motore a combustione dal 2035.

Cosa sta succedendo? Nella giornata del 28 febbraio, il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin ha sottolineato la contrarietà alla misura sulle auto dal 2023: “Mentre l’Italia condivide gli obiettivi di decarbonizzazione, questi devono essere raggiunti da una politica economicamente sostenibile e socialmente equa.”

Il clima si è fatto teso e il Comitato dei rappresentanti permanenti degli stati dell’Ue che doveva pronunciarsi sul tema oggi ha deciso di posticipare tutto al 3 febbraio.

Nel frattempo, anche il ministro dei Trasporti tedesco ha espresso perplessità sulla decisione: “La Commissione Europea preferirebbe consentire solo veicoli alimentati a batteria. Noi la pensiamo in modo diverso...Oltre alla tecnologia delle batterie, vogliamo celle a combustibile a idrogeno e in particolare e-fuel perché possono garantire una mobilità climaticamente neutra nel motore a combustione.”

La parola d’ordine, quindi, sembra essere gradualità nell’elettrificazione della mobilità. L’industria europea in generale non sembra essere all’altezza di un piano così ambizioso e totalizzante per eliminare dal 2035 auto a combustione. A far paura sono anche i mercati già avviati di Cina e Usa.

Cosa accade ora? Il Consiglio Ue del 7 marzo deve procedere a ratificare in via formale in regolamento. Il voto segue le regole della maggioranza qualificata, raggiunta con due condizioni: voto favorevole del 55% degli Stati membri (sarebbero 15 paesi su 27) e rappresentanza di almeno il 65% della popolazione totale dell’Ue degli Stati che approvano la proposta.

Probabilmente, il testo da approvare subirà modifiche, poiché con un no di Germania, Polonia e Ungheria, per esempio, non riuscirebbe a passare stando alle regole.

Tutti i rischi per l’industria auto europea

Tempismo e mancanza di pragmatismo sulla trasformazione dell’industria automobilistica sono i due punti deboli della decisione del Parlamento europeo.

Le prime criticità espresse riguardano il ritardo dell’industria europea nei confronti dei colossi Cina e Usa, che nel settore sono molto più avanti. Il gap si tradurrebbe in una lotta impari di competitività. Basta solo pensare che gli Stati Uniti hanno stanziato il pacchetto da 400 miliardi di dollari con l’Ira, Inflation reduction act proprio per incentivare produzione e acquisti di veicoli elettrici.

La Cina è già leader nel business elettrico.

Una delle accuse più pesanti contro la scelta europea è arrivata da Romano Prodi, che sul Messaggero ha messo in guardia:

“...passare ad un sistema a trazione puramente elettrica in tempi così ristretti (entro il 2035), ci obbliga infatti a mettere in secondo piano i progressi in corso nel campo dei biocarburanti, dell’idrogeno e delle altre tecnologie che vedono l’Europa combattere ad armi pari...Per un lungo numero di anni dovremo quindi incentivare gli acquirenti dell’auto elettrica con pesanti sussidi, dedicati ad acquistare prodotti che, nella quasi totalità, sono fabbricati in Cina o nei giganteschi impianti di batterie in costruzione negli Stati Uniti, sotto la spinta degli incentivi forniti dal governo”

Senza contare, inoltre, che ci sarà il problema dell’approvvigionamento delle materie prime per le batterie (come il litio) e la necessità di trovare soluzioni allo smaltimento delle stesse.

Infine, l’industria dell’automobile stessa è destinata a cambiare, visto che tutta la componentistica del motore non sarà più necessaria con le auto elettriche a batteria. La transizione genererà nuovi posti di lavoro, ma intanto grandi aziende come Ford stanno già pianificando licenziamenti poiché il passaggio ad auto elettriche richiede minore manodopera.

Quali sfide per il settore auto Italia?

Entrando nello specifico italiano, i dubbi sono ancora di più.

Sempre l’intervento di Prodi ha spiegato i rischi per il sistema Italia:

“siamo un Paese di straordinaria importanza nella produzione dei componenti, la gran parte dei quali non esiste nelle vetture elettriche, che sono molto più semplici e si muovono spinte unicamente dalle costosissime batterie. Le auto elettriche non hanno infatti bisogno di filtri, valvole, testate, iniettori, monoblocchi, pompe, serbatoi e delle tante altre diavolerie che compongono un’auto spinta da motore diesel o a benzina.”

Senza contare, secondo alcuni analisti, che il nostro Paese parte svantaggiato in Europa, o comunque nei confronti delle grandi economie come Francia e Germania, anche per i conti pubblici proibitivi per aggiungere spesa e incentivi.

Gli investimenti nel settore, inoltre, sono in ritardo. Per esempio, ricorda un’analisi del Sole 24 ore, la Germania ha investito già sull’elettrico puntando anche su legami con la Cina a livello commerciale.

I colossi francesi Renault e Peugeot hanno messo radici importanti nell’elettrico dalle quali oggi poter attingere con maggiore prontezza per fare il salto. Nulla di tutto questo esiste in Italia.

I dubbi sono molti. L’unica speranza è che dalle perplessità nascano proposte non arrendevoli, per l’industria italiana, europea e per avanzare verso nuove tecnologie green.

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