Il sondaggio lanciato da Money.it sul futuro delle carceri italiane parla chiaro: per il 71% dei votanti la strada maestra per risolvere il problema del sovraffollamento è costruire nuove strutture.
Il sondaggio lanciato da Money.it sul futuro delle carceri italiane parla chiaro: per il 71% dei votanti la strada maestra per risolvere il problema del sovraffollamento è costruire nuove strutture. Solo una minoranza ritiene più efficace l’amnistia (16%) o la depenalizzazione di alcuni reati (12%).
Una risposta netta, che riflette probabilmente la percezione diffusa che alle emergenze serva una risposta immediata e tangibile, come l’aumento dei posti disponibili. Ma i numeri e i richiami delle istituzioni internazionali spingono a chiedersi: basterà davvero costruire nuove carceri?

Il rapporto di Antigone fotografa una realtà drammatica: oltre 61 mila detenuti a fronte di poco più di 51 mila posti regolamentari, con un tasso di affollamento che nella pratica supera il 130%. In altre parole, quattordicimila persone di troppo dietro le sbarre.
Il problema non è solo quantitativo. La riduzione dei fondi per strutture, servizi e persino per il vitto – in un contesto in cui già la spesa giornaliera per il trattamento e il reinserimento è crollata a 14 euro per detenuto – rende impossibile parlare di detenzione “dignitosa”, come invece richiesto a gran voce dal Presidente Mattarella.
A pagarne le conseguenze sono i detenuti, con un numero crescente di suicidi, ma anche gli agenti penitenziari, che si trovano a lavorare in condizioni sempre più insostenibili.
L’orientamento dei lettori del sondaggio riflette una convinzione semplice: se i detenuti sono troppi, servono più celle. È un ragionamento lineare, ma rischia di non andare al cuore del problema.
Costruire nuove carceri richiede anni, miliardi di euro e soprattutto una visione di lungo periodo che oggi manca. Nel frattempo, il sovraffollamento continuerà a produrre tragedie silenziose.
Non solo: la storia insegna che più spazi disponibili tendono a essere presto riempiti, senza intaccare le radici del problema. Se non si interviene sul numero dei reati che portano al carcere e sulla durata delle pene, il sistema rimarrà comunque in affanno.
Amnistia e depenalizzazione raccolgono meno consensi, forse perché percepite come “sconti” o come una rinuncia alla giustizia. Eppure, diversi Paesi europei hanno dimostrato che l’uso del carcere come extrema ratio, accompagnato da pene alternative e programmi di reinserimento, produce effetti più sostenibili sia sul piano umano sia su quello economico.
Ridurre il ricorso alla detenzione per reati minori, investire in misure di comunità, rafforzare i percorsi di lavoro e formazione sono scelte meno popolari, ma probabilmente più efficaci per ridurre recidiva e affollamento.
Il sondaggio mostra la distanza tra la percezione pubblica e le raccomandazioni di giuristi, associazioni e istituzioni europee. Da una parte la richiesta immediata di “più carceri”, dall’altra l’invito a ripensare radicalmente il sistema.
La vera domanda allora non è solo come liberare posti letto, ma quale idea di giustizia e reinserimento l’Italia vuole abbracciare.
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