Pensioni, tagli alla rivalutazione incostituzionali? Ecco cosa può succedere ad aumenti e rimborsi

Simone Micocci

6 Luglio 2025 - 09:29

Nuovo ricorso alla Corte Costituzionale sui tagli alla rivalutazione delle pensioni. Cosa potrebbe succedere?

Pensioni, tagli alla rivalutazione incostituzionali?  Ecco cosa può succedere ad aumenti e rimborsi

La Corte Costituzionale viene ancora una volta chiamata a esprimersi sulla legittimità della rivalutazione pensionistica.

Il tribunale di Trento ha interpellato la Consulta riguardo ai tagli della rivalutazione introdotti con le leggi di Bilancio 2023 e 2024. Tutto ruota intorno al meccanismo “a blocchi” che sostituisce quello per fasce, che secondo l’ordinanza del 30 giugno del tribunale trentino potrebbe violare i principi di proporzionalità, adeguatezza e progressività stabiliti dalla Costituzione.

Di fatto, molti pensionati sono stati penalizzati da questo meccanismo, un disagio che cresce tanto più sono i contributi versati. Il raffreddamento della rivalutazione colpisce infatti duramente le pensioni di quattro volte superiori al minimo, che tuttavia sono piuttosto modeste. Si tratta di circa 1.650 euro netti, perciò è facile capire la sensazione di ingiustizia di tanti cittadini. Allo stesso tempo, la valutazione di legittimità è complessa e l’esito non è così scontato, come la giurisprudenza sul tema insegna. Proviamo a capire cosa potrebbe succedere.

I tagli alle pensioni sono incostituzionali?

La questione di legittimità sui tagli alle pensioni stabiliti dal governo Meloni riguarda principalmente il meccanismo “a blocchi”, potenzialmente iniquo, soprattutto secondo i sindacati. Il sistema precedente, a scaglioni o a fasce che dir si voglia, prevedeva l’applicazione dell’aliquota di rivalutazione soltanto alle fasce pensionistiche. Sostanzialmente si ricalcava il modello di calcolo dell’Irpef. Il nuovo sistema “a blocchi” vede invece l’applicazione dell’aumento percentuale sull’intero importo pensionistico, con il risultato che pensioni inizialmente molto diverse tra loro distano soltanto di poco. Motivo per cui viene messo in discussione il rispetto del principio di proporzionalità e progressività, ma anche quello di adeguatezza.

Succede infatti che pensionati che hanno avuto carriere completamente diverse, sia in termini di durata che in termini di responsabilità e guadagni, percepiscono oggi un trattamento pressoché analogo. La Costituzione stabilisce però:

  • l’uguaglianza formale e sostanziale tra i cittadini;
  • la proporzionalità della retribuzione alla quantità e alla qualità del lavoro;
  • pensioni adeguate alle esigenze di vita;
  • progressività fiscale e contributiva, secondo cui ogni cittadino contribuisce in base alla propria capacità, ma l’aumento si applica a partire da soglie prefissate.

Il nuovo sistema di rivalutazione non rispetta appieno il requisito di progressività, che comunque il nostro ordinamento prevede totalmente soltanto per quanto riguarda le imposte dirette.

Cosa può succedere ad aumenti e rimborsi?

Se la Corte Costituzionale dovesse giudicare illegittimi i tagli alla rivalutazione potrebbero essere previsti dei rimborsi per i cittadini. Indipendentemente dalla probabilità che la Corte si pronunci in questo senso, non si può comunque ipotizzare l’erogazione di rimborsi integrali, che risulterebbero insostenibili per le casse statali e deleteri per il sistema pensionistico.

Si potrebbe piuttosto pensare a risarcimenti una tantum e parziali, com’è avvenuto nel 2015 quando la Corte Costituzionale ha bocciato il blocco della perequazione previsto dalla riforma Fornero. In quell’occasione, tuttavia, si lamentava anche la genericità delle motivazioni e la mancata indicazione delle esigenze finanziarie. I principi di solidarietà e uguaglianza alla base del sistema pensionistico venivano violati in modo ingiustificato. I precedenti però non sono tutti così rassicuranti, anzi.

La sentenza n. 19/2025 della Corte Costituzionale aveva confermato la legittimità proprio del meccanismo di riduzione della rivalutazione delle pensioni introdotto con la legge di Bilancio 2023 e mantenuto con qualche modifica nell’anno successivo. La Consulta, in particolare, aveva ritenuto giustificato il raffreddamento tenendo conto del suo carattere temporaneo (il meccanismo ordinario è stato ripristinato nel 2025) e della salvaguardia delle pensioni più basse.

Il governo ha inoltre motivato puntualmente la decisione, dimostrando che la diminuzione dell’indicizzazione era indispensabile a contenere l’inflazione. La politica economia è stata giudicata legittima e anzi importante per tutelare le classi meno abbienti dall’inflazione, confermando diversi modi di bilanciare il potere d’acquisto e la sostenibilità previdenziale. D’altra parte, la Corte Costituzionale aveva anche ipotizzato una sorta di recupero delle perdite subite dai pensionati nel biennio con le successive decisioni sull’indicizzazione. È rimasta aperta soltanto la questione della progressività, su cui comunque resteranno dei dubbi fino alla pronuncia dei giudici.

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