Pensioni, cosa daresti in cambio per andarci al compimento dei 64 anni? Il governo pensa al Tfr, ma ne vale davvero la pena? Rispondi al sondaggio.
Pensioni, a cosa sei disposto a “rinunciare” pur di andarci con qualche anno di anticipo? Il governo, per voce del sottosegretario al ministero del Lavoro Claudio Durigon, sta lavorando a una tentazione per tutti quei lavoratori che vorrebbero andare prima in pensione ma non soddisfano i requisiti per farlo. Nel dettaglio, si lavora alla possibilità di permettere di smettere di lavorare a 64 anni, al raggiungimento dei requisiti per la pensione anticipata oggi riservata ai lavoratori che rientrano interamente nel regime contributivo, ma dovrebbe essere estesa anche a chi rientra nel misto, “barattando” il Tfr accumulato negli anni lavorati.
Più precisamente, il lavoratore lascerebbe il Tfr all’Inps rinunciando alla possibilità di riceverlo in un’unica soluzione come avviene alla cessazione del rapporto di lavoro, con l’Istituto che lo andrebbe a trasformare in una rendita pensionistica al fine di permettere il raggiungimento della soglia economica minima richiesta per il pensionamento a 64 anni. Per quanto i soldi accumulati non vengano persi, e pertanto non si possa parlare di una vera e propria rinuncia, andare in pensione a 64 richiederebbe comunque un prezzo che non tutti sono disposti a pagare. Non possiamo dire se convenga o meno ovviamente, anche perché molto dipende dal tasso di conversione del Tfr in quota pensione (dovrebbero essere utilizzate le regole del contributivo, ma per il momento la proposta è ancora in cantiere), come pure dalle esigenze del lavoratore.
Voi cosa ne pensate? Sareste disposti a rinunciare al Tfr in un’unica soluzione, ricevendolo mensilmente nella quota di pensione, pur di smettere di lavorare all’età di 64 anni? Rispondi al sondaggio per esprimere la tua opinione a riguardo.
Pensioni, come funzionerebbe il pensionamento a 64 anni con il Tfr
Oggi il collocamento in quiescenza a 64 anni con l’opzione contributiva della pensione anticipata è un’esclusiva per quei lavoratori che hanno iniziato a lavorare prima del 1996 e non hanno contributi maturati nel periodo precedente, o in alternativa per chi li ha ma soddisfa le condizioni per ricorrere al computo della Gestione Separata.
L’intenzione per il 2026 sarebbe quella di estenderla a tutti i lavoratori, anche a chi ha maturato contributi nel sistema retributivo, con una novità che varrebbe per tutti.
Dovete sapere, infatti, che per la pensione anticipata contributiva non basta aver compiuto 64 anni di età e maturato 25 anni di contributi (5 anni in più rispetto a quanto richiesto per la pensione di vecchiaia): esiste infatti un terzo requisito, di tipo economico, con il quale il legislatore si va ad assicurare che chi va in pensione in anticipo ha anche i mezzi per farlo, evitando così di gravare sulle casse dello Stato.
A tal proposito, serve che l’importo della pensione maturato al momento della domanda di pensionamento sia pari a:
- 3 volte il valore dell’Assegno sociale;
- 2,8 volte il valore dell’Assegno sociale per le donne con un figlio;
- 2,6 volte il valore dell’Assegno sociale per le donne con due figli.
Nel 2025, considerando un valore di circa 538,68 euro, serve aver raggiunto rispettivamente una quota di 21.008,52, 19.607,95 euro e 18.207,38 euro. Ma le soglie aumenteranno negli anni, visto che l’Assegno sociale è condizionato al costo della vita e quindi tende a crescere ogni inizio gennaio.
A tal proposito, con l’ultima manovra il governo ha concesso la possibilità di calcolare anche l’eventuale rendita garantita da un fondo per la pensione complementare a cui è iscritto il lavoratore al fine di valutare il raggiungimento delle suddette soglie. Nel 2026 si lavora però a un ulteriore passo in avanti: al fine di andare incontro anche alle esigenze di coloro che non sono stati così lungimiranti, o che comunque non hanno guadagnato abbastanza da permettersi anche di versare contributi per la pensione integrativa, si pensa di prevedere la possibilità di girare tutto il Tfr accumulato all’Inps, con l’Istituto che lo andrebbe ad aggiungere al montante contributivo trasformandolo in quota di pensione.
In questo modo la pensione sarebbe più alta, con maggiori percentuali di raggiungere la soglia minima richiesta per smettere di lavorare a 64 anni. Il tutto però rinunciando a un vero e proprio tesoretto di cui godere nel momento della cessazione dell’attività lavorativa, per quanto comunque i soldi vengono comunque riconosciuti ma dilazionati nel tempo. Soldi solitamente spesi per ristrutturare casa, per fare un viaggio desiderato da tempo, per aiutare i figli: insomma, una vera e propria rinuncia con l’aggiunta poi che andare in pensione a 64 anni potrebbe anche comportare una penalizzazione dell’assegno.
Per il calcolo, infatti, viene utilizzato interamente il sistema contributivo, il che può portare a una pensione più bassa per coloro che in alternativa avrebbero avuto una parte della pensione calcolata con il retributivo.
Insomma, gli aspetti negativi di una pensione a 64 anni non mancano, ma sono sorvolabili di fronte alla possibilità di smettere di lavorare con 3 anni di anticipo? Fatecelo sapere rispondendo al sondaggio.
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