Andare in pensione in anticipo? Avere maggiori vantaggi sulle somme versate in un fondo pensione? Ecco quando è possibile.
Conoscere a fondo le regole sulle pensioni è fondamentale, perché tra le numerose leggi che si sono succedute negli anni possono celarsi agevolazioni preziose che consentono di andare in pensione prima o comunque di ottenere un trattamento economico più favorevole.
A tal proposito, ci sono ottime notizie per chi, già negli anni ’90 soddisfava precise condizioni: alcune norme varate in quel periodo, infatti, continuano ancora oggi a riconoscere vantaggi importanti, spesso poco conosciuti. Stiamo parlando in particolare di chi, entro la fine del 1992, ha maturato determinati requisiti o ha avuto la lungimiranza di aderire a forme di previdenza complementare, anticipando tutele che oggi rappresentano il secondo pilastro del sistema pensionistico italiano.
Gli anni ’90 sono stati infatti un periodo di grandi cambiamenti per il nostro sistema previdenziale. Con la legge Amato (D.lgs. n. 503 del 30 dicembre 1992) sono state introdotte le prime misure di innalzamento dell’età pensionabile e di revisione dei requisiti contributivi, poi proseguite con la riforma Dini del 1995, che ha segnato il passaggio dal sistema di calcolo retributivo a quello contributivo, fino ad arrivare alla ben nota legge Fornero del 2011.
Proprio nella legge Amato si trovano però alcune deroghe e disposizioni speciali che ancora oggi possono fare la differenza per chi, già trent’anni fa, aveva deciso di versare contributi volontari o di iscriversi a un fondo pensione.
A seconda dei casi, queste agevolazioni possono garantire sia la possibilità di andare in pensione con meno anni di contributi, sia vantaggi fiscali ed economici molto rilevanti sulla pensione integrativa. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta e chi può beneficiarne.
In pensione in anticipo con il versamento volontario dei contributi entro il 1992
La legge Amato, oltre ad aver introdotto le prime norme che hanno portato a un innalzamento dell’età pensionabile, ha previsto anche alcune importanti deroghe rispetto alle regole attuali. Una delle più rilevanti riconosce a determinati lavoratori la possibilità di andare in pensione a 67 anni con 5 anni di contributi in meno rispetto a quanto previsto dalla normativa ordinaria, ossia con 15 anni anziché 20.
Nel dettaglio, sono tre le situazioni che consentono di andare in pensione con 15 anni di contributi. La prima riguarda chi ha maturato tutti i 15 anni richiesti entro il 31 dicembre 1992. È evidente, quindi, che più passa il tempo, più questa deroga tende a diventare meno utilizzabile, perché riguarda periodi contributivi ormai lontani.
La seconda deroga, che è quella che ci interessa in questo caso, spetta invece a chi entro il 31 dicembre 1992 è stato autorizzato alla prosecuzione volontaria della contribuzione.
Chi ha fatto domanda per il versamento volontario entro quella data può dunque andare in pensione anche se non ha raggiunto il requisito minimo previsto per la pensione di vecchiaia. E la buona notizia è che non è necessario aver effettivamente versato i contributi volontari: per usufruire dell’agevolazione, infatti, è sufficiente l’autorizzazione da parte dell’Inps.
C’è poi una terza deroga Amato, destinata a chi ha iniziato a versare contributi da almeno 25 anni (che, nella pratica, devono essere almeno 30 anni, visto che almeno un contributo deve risultare versato prima del 31 dicembre 1995) e per almeno 10 anni non ha raggiunto le 52 settimane di contribuzione. Si tratta di una misura pensata per tutelare chi ha avuto carriere discontinue, periodi di precariato o ha lavorato a lungo con contratti part-time.
L’agevolazione per chi ha aderito a un fondo pensione entro il 1992 (e 1993)
Come anticipato la seconda agevolazione riguarda la rendita futura. Nel dettaglio, fa riferimento alla liquidazione - e alla tassazione - di quanto eventualmente versato in un fondo pensione.
Nel dettaglio si parla di vecchi iscritti ai fondi pensione nel caso di quelle persone che hanno aderito a uno dei vari fondi prima che la previdenza complementare venisse riconosciuta a tutti gli effetti come il secondo pilastro del sistema previdenziale. Possiamo dire che la loro “lungimiranza” è stata premiata, perché come vedremo di seguito per loro ci sono diversi vantaggi.
Nel dettaglio, possiamo definire “vecchi iscritti” coloro che hanno aderito a un fondo pensione prima della legge n. 421 del 1992 con la quale è stata disciplinata la previdenza complementare in Italia. Ma anche per chi lo ha fatto prima dell’entrata in vigore della legge delega del suddetto provvedimento, quindi prima del 29 aprile 1993.
Tra i vantaggi riservati ai vecchi iscritti a un fondo pensione c’è la possibilità di scegliere anche di ricevere il 100% di quanto versato in un’unica soluzione anziché sotto forma di rendita. Tutti gli altri, infatti, possono scegliere al massimo di ricevere il 50% in un’unica soluzione, convertendo l’altra metà di quanto versato in rendita vitalizia.
Ma vanno considerati anche i vantaggi fiscali. La normativa sulla pensione integrativa, infatti, prevede che al momento del pensionamento il capitale e la rendita sono oggetto di una ritenuta d’imposta del 15%, riducibile fino al 9% per gli anni di permanenza oltre il quindicesimo, come stabilito dal D.Lgs. 205/2005. Per i «vecchi iscritti» esistono diversi regimi fiscali, a seconda del periodo in cui sono stati maturati i montanti:
- Fino al 2000: tassazione separata con aliquota TFR (minimo 23%).
- Tra il 2001 e il 2006: tassazione separata interna al fondo (minimo 23%).
- Dopo il 2007: tassazione con aliquota agevolata dal 15% al 9%.
I vecchi iscritti possono quindi scegliere tra applicare la tassazione in vigore fino al 2006 sull’intero capitale o adottare il regime agevolato per i montanti maturati dopo il 2007, con la possibilità di riscuotere il 50% sotto forma di capitale e il resto come rendita.
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