Pensioni, a gennaio arriva l’aumento. Sarà di pochi euro, mentre per lo Stato il conto rischia di essere molto salato.
A gennaio le pensioni aumenteranno di pochi euro, almeno secondo quelle che sono le stime fatte dal governo, al fine di mantenerne inalterato il potere d’acquisto. A prevederlo è la regola che lega l’importo dei trattamenti previdenziali, e assistenziali, all’andamento dell’inflazione, un meccanismo - conosciuto come rivalutazione o perequazione, che limita la svalutazione degli assegni con l’avanzare degli anni.
Guardando all’andamento dell’inflazione è stimata per la fine dell’anno una percentuale media dell’1,7%, un valore che applicato sulle pensioni garantirà aumenti di pochi euro ai pensionati, lontani dagli importi riconosciuti tra il 2023 e il 2024 quando l’inflazione galoppante ha portato a una crescita anche a due zeri in alcuni casi.
Non sarà così nel 2026, quando neppure chi prende 5.000 euro di pensione arriverà a 100 euro di aumento.
Ma attenzione, perché se da una parte l’aumento delle pensioni rischia di essere irrilevante per gran parte dei pensionati, non sarà così per lo Stato. In legge di Bilancio 2026, infatti, circa 5 miliardi di euro dovranno essere riservati alla rivalutazione; un costo sorprendente, tanto che c’è chi teme che il governo possa autorizzare un nuovo taglio come quello effettuato negli anni scorsi.
Di quanto aumentano le pensioni a gennaio 2026
Come anticipato, ogni anno, a gennaio, le pensioni vengono ricalcolate per effetto della perequazione, il meccanismo che lega gli assegni previdenziali e assistenziali all’andamento dell’inflazione. Uno strumento d’importanza fondamentale: senza di esso le pensioni resterebbero ferme agli importi originari, mentre il costo della vita cresce di anno in anno. Il risultato sarebbe una progressiva perdita di potere d’acquisto delle pensioni.
Negli ultimi anni questo meccanismo è stato particolarmente evidente: basti pensare che un assegno di 1.000 euro, tra il 2022 e il 2024, è salito a 1.148,50 euro, grazie a una rivalutazione complessiva di oltre il 14%. Un’eccezione legata a un contesto straordinario, segnato prima dalla pandemia e poi dalla guerra in Ucraina, che ha fatto impennare i prezzi.
La fase che si apre nel 2026 è invece molto diversa. Dopo la frenata del 2024 (con un incremento dello 0,8% a inizio gennaio scorso), l’inflazione nel 2025 è tornata a muoversi su valori più vicini all’obiettivo delle banche centrali, cioè intorno al 2%, tant’è che secondo le ultime previsioni del Documento di economia e finanza, la variazione media dei prezzi sarà dell’1,7%.
Significa che, da gennaio 2026, le pensioni cresceranno proprio dell’1,7%, applicando le regole fissate dalla legge n. 448/1998, secondo cui la rivalutazione non è uguale per tutti, ma segue un sistema a scaglioni:
- gli importi fino a 2.413,60 euro lordi al mese (4 volte la pensione minima) saranno rivalutati per intero;
- la quota compresa tra 2.413,60 e 3.017 euro crescerà del 90% del tasso, quindi dell’1,53%;
- la parte che eccede i 3.017 euro avrà un adeguamento ridotto al 75% del tasso, cioè dell’1,27%.
In pratica, chi ha una pensione bassa o media vedrà applicata la rivalutazione piena, mentre per gli assegni più alti l’aumento sarà progressivamente ridotto, come indicato nella seguente tabella:
Importo lordo pensione | Aumento lordo | Nuovo importo lordo |
---|---|---|
800€ | +13,60€ | 813,60€ |
1.000€ | +17,00€ | 1.017,00€ |
1.200€ | +20,40€ | 1.220,40€ |
1.400€ | +23,80€ | 1.423,80€ |
1.600€ | +27,20€ | 1.627,20€ |
1.800€ | +30,60€ | 1.830,60€ |
2.000€ | +34,00€ | 2.034,00€ |
2.200€ | +37,40€ | 2.237,40€ |
2.400€ | +40,80€ | 2.440,80€ |
2.600€* | +39,80€ | 2.639,80€ |
3.000€* | +45,90€ | 3.045,90€ |
3.200€* | +40,64€ | 3.240,64€ |
5.000€* | +63,50€ | 5.063,50€ |
* Per gli importi superiori a 2.413,60 € si applica il meccanismo a scaglioni: solo la parte eccedente è rivalutata al 90% o al 75%.
Un costo sorprendente per lo Stato, tagli in arrivo?
Ma attenzione, perché se da una parte si tratta di importi minimi per i pensionati, anche perché i valori indicati in tabella sono da considerare al lordo, non si può dire lo stesso di quanto questa operazione costerà allo Stato.
Considerando che la spesa previdenziale e assistenziale nel 2025 sfiora i 355 miliardi di euro, un aumento generalizzato dell’1,7% assorbirebbe oltre 6 miliardi. Tuttavia, grazie al meccanismo a scaglioni che riduce progressivamente la percentuale di rivalutazione per le pensioni più alte, la cifra effettiva da mettere in conto per il 2026 scende a circa 5 miliardi.
Questa somma rappresenta comunque un impegno significativo per le finanze pubbliche, anche se una parte rientrerà indirettamente tramite la maggiore tassazione sugli stessi assegni pensionistici rivalutati.
Per il governo questi conti sono necessari dal momento che il calcolo costituisce la base di partenza per la costruzione della prossima manovra economica: e non è escluso che si torni a valutare correttivi o limitazioni, come già accaduto negli anni scorsi quando il taglio è stato persino legittimato dalla Corte Costituzionale.
Non a caso i sindacati dei pensionati hanno espresso preoccupazione. La Uilp, ad esempio, ha ricordato che la perequazione non è un “regalo” ma l’unico strumento per difendere il potere d’acquisto, già fortemente eroso nell’ultimo decennio: secondo le loro stime, un assegno lordo di 3.500 euro ha perso in dieci anni quasi 10.000 euro di valore reale. Da qui la richiesta di garantire la piena rivalutazione, alleggerire il carico fiscale sulle pensioni (tra i più alti d’Europa) e ampliare la platea dei beneficiari della quattordicesima.
In altre parole, il prossimo adeguamento mette in evidenza un doppio paradosso: per i pensionati l’aumento sarà minimo, mentre per lo Stato il conto rischia di essere molto salato.
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