Riforma del Patto di Stabilità, perché l’austerity europea non è del tutto finita: l’Italia di Meloni rischia grosso

Giacomo Andreoli

09/11/2022

09/11/2022 - 16:26

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La Commissione Ue ha presentato la riforma del Patto di Stabilità, per coniugare rigore e crescita. Ma se Meloni non riesce a far crescere l’economia italiana, rischiamo sanzioni più del passato.

Riforma del Patto di Stabilità, perché l’austerity europea non è del tutto finita: l’Italia di Meloni rischia grosso

Un Patto di Stabilità e crescita flessibile, che si adatti alle condizioni di ogni Stato e non sia troppo rigido, ma contemporaneamente che faccia intervenire con più facilità la Commissione europea per sanzionare chi esce totalmente dalla rotta delle regole Ue. In sostanza prevede questo la proposta di riforma del Trattato europeo al centro di anni di politiche di austerità e rigore (assieme al Fiscal Compact), prima dello scoppio del Covid-19.

Con la pandemia il Patto è stato sospeso e così risulta fino alla fine del 2023. Nel frattempo è arrivato il Recovery Plan e in parte è proprio a quello che si sono ispirati i commissari per redigere questo nuovo Trattato, non rinunciando però ai noti parametri del 3% per il deficit e del 60% per il rapporto debito/Pil. Insomma: un modo per conciliare richieste contrastanti. Da una parte i paesi del Sud Europa che vogliono continuare con una strategia economica di tipo neokeynesiano, dall’altra i falchi del Nord (a volte sostenuti dalla Germania), che spingono ancora per il controllo finanziario.

Insomma l’austerity non è del tutto archiviata e l’Italia di Meloni rischia grosso: se la presidente del Consiglio non riuscirà ad invertire la rotta che porta a una pericolosa e duratura recessione, in caso di dirottamento evidente dai binari delle regole Ue, c’è il rischio che una sorta di commissariamento da parte della Commissione europea porti a sanzioni più facili.

Patto di Stabilità, in cosa consiste la riforma

La riforma del Patto punta a renderlo più facile da rispettare e meno conveniente non farlo, dopo che negli ultimi anni la maggior parte delle regole sono state quasi del tutto ignorate, a cominciare da quella sulla riduzione del debito in eccesso per un ventesimo all’anno. Ogni volta, infatti, sono state addotte motivazioni economiche diverse, che alla fine hanno avuto il bene placido della Commissione.

La norma principale di queste linee guida di riforma è la possibilità di condizionare l’esborso dei fondi europei, compresi quelli del Recovery Plan, al rispetto delle regole di bilancio, legata al fatto che le procedure per chi ha debito e deficit eccessivo saranno più morbide, ma anche più controllate.

Per prima cosa, quindi, viene eliminata la previsione di ridurre l’eccesso di un ventesimo all’anno per i Paesi con debito oltre il 60% del Pil: qualcosa che, ad oggi, all’Italia costerebbe 50 miliardi. Assieme a questo viene meno l’obbligo di migliorare i saldi di bilancio dello 0,5% per chi non è in pareggio tra entrate e uscite. Due netti vantaggi per il nostro Paese.

Il controllo vincolante della Commissione

Tuttavia, contemporaneamente, diventerà vincolante il controllo della Commissione europea sul risparmio pubblico degli Stati membri, soprattutto se con debito più alto della media. Ogni governo nazionale insomma dovrebbe concordare con la Commissione Ue come ridurre l’esposizione eccessiva. Lo Stato presenterebbe un percorso di aggiustamento del debito, tenendo conto degli investimenti che vuole fare, delle priorità economiche e delle riforme.

A quel punto la Commissione può approvare o rifiutare il piano (avendo come metro di riferimento la spesa netta primaria) dopo una trattativa, con due unici obiettivi sempre validi: un percorso del debito che rimane discendente o si mantiene su livelli prudenti e un deficit di bilancio che rimane sotto al 3% del Pil nel medio termine. Il controllo rafforzato durerebbe quattro anni (con relazioni ogni anno), che possono diventare sette se il percorso è giustificato da riforme e investimenti specifici. L’intervento da fare sul debito, quindi, non sarebbe ogni dodici mesi, ma complessivo entro il termine del periodo, ma la vigilanza rimarrebbe annuale.

Multe e sanzioni più facili

Se il percorso non venisse rispettato scatterebbero subito le sanzioni, qualcosa di simile rispetto a quanto vale per il Pnrr, anche preventivamente rispetto ad obiettivi futuri platealmente non raggiungibili.

Le multe finanziarie, quindi, diventerebbero più facili da applicare, con procedure di infrazione per debito eccessivo (anche se il deficit è sotto al 3%) maggiormente rapide. Inoltre potrebbero essere sospesi i finanziamenti europei (compreso il Next Generation Eu) se i paesi membri non avviassero azioni efficaci per correggere il loro deficit eccessivo.

In ogni caso le sanzioni dovrebbero essere decisamente più contenute del passato e in questo modo più “credibili”. Per ora non ci sono cifre, ma fonti della Commissione parlano di possibili multe nell’ordine dei milioni e non dei miliardi, con criteri simili a quelli che si usano per gli Stati che manipolano dati statistici.

Cosa rischia l’Italia

Queste linee guida, ora, vanno discusse con i Paesi membri e poi tradotte in vere e proprie proposte legislative europee. Per Bruxelles si dovrebbe raggiungere un accordo tra gli Stati membri entro l’autunno del 2023 e sicuramente prima delle procedure di bilancio per il 2024.

Interessante sarà capire l’orientamento del governo Meloni, che dovrebbe cercare di rendere ancor meno vincolanti gli obblighi di bilancio per il nostro Paese. Sicuramente per l’Italia, visto il suo debito altissimo, il deficit per il prossimo anno previsto ancora sopra il 4% e le prospettive di recessione, questa riforma del Patto di Stabilità, se le cose si mettessero male, rischia di portare a sanzioni e procedure d’infrazione. In ogni caso comunque, con l’applicazione rigorosa di queste linee guida, avremmo margini ridottissimi sulla nostra politica economica: i soldi a disposizione saranno pochi e andranno spesi con estrema attenzione per stimolare effetti virtuosi di bilancio.

Andrà sfruttato, insomma, il cosiddetto moltiplicatore del Pil, lavorando contemporaneamente per accelerare il più possibile sul Pnrr, che è la vera cartina di tornasole per rendere Bruxelles più morbida nei giudizi con l’Italia, assicurandoci contemporaneamente margini di sviluppo di medio-lungo periodo.

In tutto ciò bisogna superare le resistenze della Germania, a cui non piace l’approccio differenziato da Stato a Stato che prevederebbe il nuovo Patto di Stabilità. Secondo il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, “un approccio multilaterale è un elemento sostanziale delle regole di bilancio europeo. In altre parole, un’unione monetaria ha bisogno di regole di bilancio unitarie: è decisivo per assicurare il trattamento paritario e la comparabilità e nella sostenibilità del debito”.

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