Quali sono le parole vietate in Italia? Ecco cosa prevede la legge, le differenze con il passato e i possibili risvolti futuri.
La proposta di Fratelli d’Italia sulla limitazione all’uso dei termini stranieri ha suscitato una polemica accesa, che certo non si è spenta, visto che l’iter del decreto è ancora incerto. Da una parte, ci sono Paesi europei con regole simili, tra cui la Francia e la Spagna. La tutela della lingua nazionale è un legittimo obiettivo dello Stato, di cui la lingua è una delle espressioni identitarie principali. D’altro canto, c’è chi teme la similitudine con le regole applicate durante il fascismo, con il richiamo a uno dei periodi storici più bui della nostra Nazione.
Ripercorriamo quindi il percorso delle parole vietate in Italia, attualmente, nel passato o (forse) in futuro e le relative sanzioni.
Parole vietate durante il fascismo
In epoca fascista l’italianizzazione della lingua ha raggiunto il suo picco, toccando peraltro ulteriori aspetti della vita del Paese. Dal punto di vista prettamente linguistico, è stata attuata - possiamo dire senza successo - un’epurazione completa da tutti i termini stranieri, anche quando per un retaggio antico. Le parole sono state così tradotte, in alcuni casi in modo così forzato da non riuscire nemmeno a promuovere il cambiamento nel linguaggio.
Così, il processo di italianizzazione completa della lingua, lentamente cominciato già decenni prima dell’avvento del regime, ha tentato di raggiungere obiettivi tanto elevati da risultare inarrivabili. Una vera e propria forma di proibizionismo, che si può così definire alla luce del totale distacco dalla realtà quotidiana e per le finalità “altre” di tipo nazionalistico, che non è riuscito comunque ad attecchire. L’evoluzione naturale della lingua e i profondi cambiamenti socio-culturali hanno scosso l’Italia, nonostante il periodo di rigore e multe elevate.
Per esempio, chi violava il divieto di usare termini stranieri nei documenti ufficiali, nelle affissioni pubblicitarie e nelle insegne dei negozi andava incontro a un’ammenda fino a 5.000 euro e l’arresto fino a 6 mesi. Eppure, oggi nessuno si sogna di riferirsi con il termine “bevanda arlecchina” al posto di cocktail oppure “torpedone” anziché autobus. Al contrario, “calcio di rigore” e “fuorigioco” sono entrati nella terminologia comune.
La proposta di Fratelli d’Italia
La proposta di legge di Fratelli d’Italia, bisogna precisarlo, è morigerata rispetto al complesso di norme italianizzanti che hanno preso piede in epoca fascista. Più che altro, strizza l’occhio alle politiche di tanti altri Paesi riguardo alla promozione dell’identità nazionale, non necessariamente da intendere come motivo di esclusione, repressione o discriminazione.
Ciò che manca ad oggi, a prescindere dal futuro della proposta, è un percorso più ampio di promozione e insegnamento della lingua, che comunque non può prescindere da un’attinenza al contesto sociale e culturale attuale. In ogni caso, i deputati di Fdi intendono sanzionare l’abuso di termini stranieri e foresterismi nella pubblica amministrazione e in sede giurisdizionale con una sanzione da 5.000 a 100.000 euro. Innanzitutto si tratta di una sanzione amministrativa e in secondo luogo viene vietato l’abuso delle parole straniere quando superflue e non l’utilizzo generico.
Naturalmente, la multa proposta appare piuttosto salata e anche mancante del criterio di proporzionalità che richiede l’ordinamento italiano. Non sembra esserci alcun dubbio sul suo ridimensionamento, laddove la proposta arrivasse davvero a compimento. La promozione dell’italiano viene estesa nei documenti scolastici, nei contratti di lavoro e perfino nelle conversazioni private, chiedendo anche un’attenzione maggiore nell’insegnamento e nella comprensibilità.
Parole vietate in Italia oggi
Attualmente, non esistono vere e proprie parole vietate in Italia. Per essere precisi, nemmeno l’eventuale approvazione della proposta di legge di Fratelli d’Italia pare istituire vere e proprie parole vietate. L’uso di bestemmie e parole offensive nei confronti delle fedi religiose in quanto tali è vietato, seppur non costituisca reato, così come l’uso di parole offensive che possono determinare un’ingiuria.
Non c’è però un elenco di parole vietate, nemmeno per quanto riguarda il reato di diffamazione o per gli ambienti di lavoro. Le norme sono più generali, richiedendo per esempio al datore di lavoro di rispettare la dignità dei dipendenti e in generale di non offendere la reputazione altrui.
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