Secondo l’analista senior l’Ungheria si prepara ad entrare nella moneta unica europea entro tale data. Intanto nel 2026 sarà la volta della Bulgaria.
L’ultima nazione ad aderire alla moneta unica europea è stata la Croazia nel 2023. Ora è arrivato l’ok della Commissione Europea all’ingresso della Bulgaria, previsto dal 1° gennaio 2026. Il governo di Sofia ha rispettato tutti i criteri contenuti nel Trattato di Maastricht e si prepara quindi a dare il benvenuto all’euro dopo un’attesa durata tre anni, un percorso considerato da molti osservatori una tappa cruciale per il rafforzamento della stabilità economica e politica del Paese.
Dopo la Bulgaria la prossima candidata potrebbe essere l’Ungheria, anche se restano diverse criticità da affrontare prima di poter considerare un ingresso realistico. Secondo Zoltán Török, analista senior di Raiffeisen Bank, la data plausibile affinché l’Ungheria possa adottare la moneta unica è compresa tra il 2030 e il 2032, anche se l’esperto auspica un ingresso anticipato che possa accelerare i benefici legati all’integrazione europea. András Bukovszki, economista di CIB Bank, ritiene invece che l’ingresso di Sofia nell’euro porterà più vantaggi che svantaggi, pur sottolineando che la sola introduzione della moneta non sarà sufficiente a risolvere i problemi strutturali più profondi che caratterizzano il Paese.
Per aderire all’euro, l’Ue richiede infatti il rispetto di stringenti criteri economico-finanziari, fissati nel Trattato di Maastricht. Tali criteri, stabiliti per regolare l’ingresso dei Paesi nell’Unione economica e monetaria, si articolano in quattro grandi aree:
- stabilità dei prezzi: l’inflazione non può superare di oltre l’1,5% la media dei tre Stati membri più virtuosi;
- finanza pubblica: due i parametri da rispettare. Il deficit deve restare al di sotto del 3% del PIL, mentre il debito pubblico non deve eccedere il 60% del PIL;
- stabilità del cambio: il Paese candidato deve restare per almeno due anni all’interno del Meccanismo di cambio europeo (ERM), senza svalutazioni significative;
- tassi d’interesse a lungo termine: non possono superare di oltre il 2% la media dei tre Paesi con le migliori performance in tema di stabilità dei prezzi.
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Ancora diversi paletti da rispettare
Attualmente i conti ungheresi non sono in linea con questi standard, a causa di un deficit pubblico doppio rispetto al parametro del 3% e di un’inflazione oltre i limiti fissati da Bruxelles. Anche la normativa che regola la banca centrale dovrebbe essere adeguata allo statuto della BCE. Insomma, la strada appare ancora tortuosa e ricca di ostacoli, ma nei prossimi anni potrebbe arrivare il via libera se verranno avviate riforme concrete.
Altri Paesi che puntano all’ingresso nell’euro sono Romania, Polonia e Repubblica Ceca. A Praga il principale ostacolo è la mancata partecipazione al meccanismo ERM II per almeno due anni, a cui si aggiunge la forte contrarietà della popolazione: la maggioranza dei cechi è contraria alla moneta unica perché teme perdita di sovranità monetaria e aumenti dei prezzi. In Polonia la situazione ricorda quella della Repubblica Ceca, con in più la necessità di modificare la Costituzione per consentire alla banca centrale di entrare nell’euro. In Romania, invece, il quadro assomiglia molto a quello dell’Ungheria, con un’inflazione persistente e difficoltà strutturali che rallentano il percorso di avvicinamento.
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