Nessuno vuole il voto anticipato: ecco perché i parlamentari salveranno le loro pensioni

Stefano Rizzuti

02/11/2021

20/07/2022 - 15:12

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Il fronte del no al voto anticipato si allarga e sempre più partiti escludono il ritorno alle urne prima del 2023. E così i parlamentari potranno maturare i requisiti per la pensione.

Nessuno vuole il voto anticipato: ecco perché i parlamentari salveranno le loro pensioni

In un periodo in cui la maggioranza litiga e anche spesso, c’è un tema che sembra iniziare a unire tutti i partiti che sostengono il governo Draghi: il no al voto anticipato. In questi giorni molti leader politici hanno espresso la loro contrarietà al ritorno alle urne, con motivazioni spesso differenti tra loro. Ma con un tema, finora sottaciuto, che è innegabile: andare al voto prima della fine della legislatura vorrebbe dire, per centinaia di parlamentari, perdere il diritto alla pensione.

Non a caso, quindi, da Conte a Salvini sono sempre più i segretari di partito che allontanano l’ipotesi del voto anticipato dopo l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Tanto che nelle ultime ore si fa largo anche l’ipotesi di Mario Draghi al Colle e di un nuovo governo tecnico (o quantomeno un nuovo presidente a Chigi) che porti avanti il lavoro fino a fine legislatura.

Di Maio e Conte dicono no al voto anticipato

Chi si sta spendendo maggiormente contro il voto anticipato in questi giorni è il Movimento 5 Stelle. Lo dimostrano le parole del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che dice “no con fermezza” all’ipotesi di tornare alle urne. “Vorrebbe dire bloccare la ripresa del Paese”, è la motivazione ufficiale del ministro.

Le parole di Di Maio confermano quelle già pronunciate dal capo politico del Movimento, Giuseppe Conte: “Pensare di eleggere un presidente della Repubblica e un attimo dopo votare non è nell’ordine delle cose. Non abbiamo nessuna fretta di andare a votare”.

Anche con Draghi al Quirinale incerto ritorno alle urne

La contrarietà dei 5 Stelle al voto anticipato viene in parte condivisa da Matteo Salvini. Il leader della Lega non esprime una preferenza ma più che altro una quasi certezza indipendente dalla sua volontà. E anche in caso di elezione di Draghi al Quirinale - afferma - “non credo che ci sarebbero le elezioni anticipate”.

Il segretario della Lega apre un altro tema. Se Draghi dovesse essere scelto come prossimo presidente della Repubblica il governo potrebbe comunque essere tenuto in vita. Con la stessa o con una nuova maggioranza. E da questo punto di vista sarebbe d’aiuto il tema del Pnrr: potrebbe essere quindi un altro tecnico, per esempio il ministro dell’Economia Daniele Franco, a passare a Palazzo Chigi.

Il tema della pensione dei parlamentari

Tutto questo ragionamento sottintende un tema strisciante, di cui non si può parlare apertamente, ed è quello delle pensioni dei parlamentari. Che scatteranno solamente a settembre del 2022 e già questo sembra un buon motivo per credere che il governo non cada prima. In più c’è da tenere in conto il taglio dei parlamentari che vuol dire una netta riduzione di deputati e senatori nella prossima legislatura e la mancata riconferma per una gran parte di loro.

La data da segnare in rosso è quella del 24 settembre 2022, da quel giorno verranno maturati i requisiti per molti parlamentari per accedere alla pensione. Del tema ancora non si parla pubblicamente, ma Antonio Tasso, deputato del Maie, in un’intervista al Corriere ammette che la questione va presa in considerazione: “È indubbio che a questo tema, verosimilmente, in tanti non siano insensibili”.

Quanti parlamentari devono aspettare settembre 2022 per la pensione

Un’analisi dell’Osservatorio conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano, diretto da Carlo Cottarelli, fornisce alcuni dati sulla pensione dei parlamentari. Ricordiamo che con il passaggio dal vitalizio alla pensione (che si riceve dai 65 anni) i requisiti vengono maturati da deputati e senatori solamente in caso di legislatura completa. Anzi, per essere precisi bastano quattro anni, sei mesi e un giorno. E così arriviamo al fatidico 24 settembre.

Sono 446 i deputati e 244 i senatori ad attendere impazienti quella data essendo alla loro prima legislatura: parliamo di oltre il 70% dei parlamentari in ognuno dei due rami. Tra questi, in realtà, c’è qualcuno che è subentrato in un secondo momento e comunque non arriverebbe alla pensione.

I neoeletti partito per partito

Ci sono poi differenze tra i partiti. La Lega è quella con più neoeletti (oltre l’80%) e con il maggior rischio di mancata rielezione a causa del taglio dei parlamentari. Diverso il discorso per Fratelli d’Italia che ha sì un alto numero di neoeletti ma anche i sondaggi dalla sua parte e una truppa parlamentare ridotta in questa legislatura.

Nel Movimento 5 Stelle quasi il 70% dei parlamentari è al primo incarico e inoltre la rielezione è molto complicata considerando che i voti - rispetto al 2018 - sono più che dimezzati. Problema simile anche per Forza Italia, che ha però un tasso minore di neoeletti (poco più del 60%). Infine nel Pd i neodeputati sono meno del 40% mentre i senatori il 66%. Cifre comunque inferiori rispetto agli altri partiti.

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