Il nuovo logo tricolore sarà operativo dal 2026 e promette di rivoluzionare il settore bio nazionale. Ecco quali sono le principali sfide e le opportunità per produttori e consumatori.
Dopo oltre tre anni dall’approvazione della legge quadro sull’agricoltura biologica, l’Italia introduce ufficialmente il marchio “Biologico italiano”. La presentazione è avvenuta in occasione della Giornata europea del biologico, celebrata a Roma con le principali associazioni di settore.
Il nuovo logo, che raffigura un cuore tricolore accompagnato dalla dicitura “biologico italiano”, sarà pronto per comparire sugli scaffali dei supermercati già all’inizio del 2026.
Lo scopo è quello di garantire ai consumatori che i prodotti siano davvero frutto di materie prime coltivate e trasformate interamente nel nostro Paese e offrire alle imprese agricole uno strumento di riconoscibilità e tutela sul mercato globale.
I numeri del biologico in Italia
I numeri del biologico italiano testimoniano una crescita costante e significativa che rende ancora più strategico l’arrivo di questo nuovo marchio. Secondo i dati più recenti dell’Ismea, il comparto ha superato quota 97.000 operatori, registrando un incremento del 2,9% rispetto al 2023 e un impressionante +62% nell’ultimo decennio. Le aziende agricole biologiche vere e proprie sono cresciute del 3,4% arrivando a oltre 87.000 unità, mentre il mercato della grande distribuzione ha raggiunto un valore di 3,96 miliardi di euro. La superficie coltivata a biologico ha superato i 2,5 milioni di ettari, circa il 20,2% di tutto lo spazio coltivabile nazionale.
Tuttavia, l’analisi dettagliata dei dati del Sistema di informazione nazionale sull’agricoltura biologica (Sinab) rivela alcune criticità strutturali. Una parte significativa di questi terreni, circa 500.000 ettari, è ancora in fase di conversione e potrà essere considerata completamente biologica solo tra due o tre anni. Inoltre, il 29,7% delle superfici è costituito da prati e pascoli spesso incolti, che vengono classificati come biologici semplicemente perché non ricevono trattamenti chimici, pur non essendo attivamente coltivati.
Come ammette la presidente di Federbio, Maria Grazia Mammuccini:
Bisognerebbe istituire una premialità per chi effettivamente coltiva e commercializza i prodotti, un modo potrebbe essere quello di arrivare ad avere una produzione bio certificata, in modo da legare meglio il contributo a chi produce bio e porta i suoi prodotti sul mercato.
Le opportunità per le imprese agricole
Il marchio “Biologico italiano” rappresenta una risposta strategica alle esigenze di un mercato sempre più attento all’origine e alla sostenibilità dei prodotti.
Per le imprese agricole, questo strumento diventa infatti un’opportunità concreta di differenziazione e valorizzazione commerciale e permetterà ai produttori di comunicare in modo chiaro e immediato la totale italianità dei loro prodotti biologici, un elemento sempre più apprezzato tanto sui mercati esteri quanto da quelli domestici.
“Il marchio era una cosa che stavamo aspettando - sottolinea Mammuccini, evidenziando come - i dati ci dicono che sia per i consumatori italiani che per quelli esteri esiste un legame stretto tra l’origine della materia prima e l’idea della sostenibilità. Credo che questo nuovo marchio sia una grande opportunità per aumentare il nostro export, ma anche i consumi interni.”
Le sfide del settore
Nonostante i progressi significativi, il settore biologico italiano deve affrontare alcune sfide strutturali che potrebbero limitarne il potenziale di crescita. Una delle problematiche più urgenti riguarda il progressivo restringimento del differenziale di prezzo tra prodotti convenzionali e biologici riconosciuto agli agricoltori. Come evidenzia Mammuccini, per alcuni prodotti come i limoni questo differenziale si è ridotto dal 40% al 19%, mentre “a scaffale, per i consumatori, il differenziale sia rimasto lo stesso”.
Questa dinamica rischia di comprimere i margini dei produttori e di scoraggiare nuove conversioni al biologico.
Il piano d’azione previsto dalla legge quadro del 2022 ha già prodotto risultati concreti con l’attivazione di bandi per progetti di filiera e distretti biologici, oltre alla promozione del piano sementiero. Tuttavia, rimangono nodi critici da risolvere, in particolare il peso della burocrazia e i costi di certificazione che gravano sulle aziende agricole, specie quelle più piccole.
Il nuovo marchio “Biologico italiano” potrebbe contribuire a mitigare questi problemi creando un valore aggiunto riconoscibile dal mercato, ma sarà necessario un impegno coordinato tra istituzioni e operatori del settore per massimizzarne l’efficacia e garantire una crescita sostenibile dell’intero comparto.
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